Città del Vaticano , giovedì, 1. agosto, 2019 10:00 (ACI Stampa).
Non un fallimento diplomatico, ma l’inizio di una nuova era diplomatica, con la creazione della Corte Internazionale di Arbitrato. La Santa Sede, alla fine, non ricevette l’invito a partecipare alla Conferenza per la Pace dell’Aja nel 1899. Ma tutte le trattative che precedettero la conferenza mostrarono piuttosto la vera importanza del Vaticano e l’autorità morale del Papa. Perché, al di là delle questioni politiche, tutti guardavano alla sua autorità morale.
Serve riavvolgere il nastro della storia per comprendere l’importanza dei fatti che sono avvenuti centoventi anni fa. Al soglio di Pietro c’è Leone XIII, un Papa accorto, che ha mostrato la sua capacità di arbitro e mediazione nella risoluzione del conflitto con la Prussia di Bismarck dopo il Kulturkamps ed era stato chiamato a mediare sulla proprietà delle Isole Caroline e nella guerra tra Spagna e Stati Uniti.
La Santa Sede è già uno Stato senza territorio. Non ha perso i suoi diritti di legazione attiva e passiva, manda e riceve ambasciatori, le nunziature vengono aperte soprattutto in Paesi del Sudamerica. Ma non ha un territorio, è stata invasa dalle truppe piemontesi. Si è in piena “Questione Romana”. La Santa Sede cerca un riconoscimento che non riesce ad avere.
Leone XIII reagisce non cercando di ricostituire lo Stato, ma inaugurando una serie di relazioni con gli Stati che partono da un presupposto: gli Stati sono transeunti, mentre la Santa Sede eterna. C’è però bisogno di riaffermare anche la statualità della Santa Sede a livello internazionale.
L’occasione è data dalla preparazione della conferenza dell’Aja. Il 30 agosto 1898 il ministro russo presso la Santa Sede Alexander Isvolsky invia un rescritto imperiale al Cardinale Rampolla, segretario di Stato vaticano, per raccontare di una grande conferenza per la pace che vuole fare all’Aja sul controllo armi e prevenzione dei conflitti.