Città del Vaticano , martedì, 3. maggio, 2022 9:00 (ACI Stampa).
Il duecentesimo anniversario della fondazione dell’Opera della Propagazione della Fede ad opera di Pauline Jaricot coincide con il centesimo anniversario della decisione di Papa Pio XI di rendere le opere missionarie “pontificie”, fino a inglobarle nella Congregazione della Evangelizzazione dei popoli, dove sono tuttora. Una decisione, quella di Pio XI, che testimonia come la “romanità” abbia carattere di universalità, perché con quella decisione le opere missionarie perdevano carattere nazionale ed entravano ancora di più a servizio della Chiesa universale.
Sono, insomma, due anniversari cruciali, che cadono proprio nell’anno in cui Pauline Jaricot verrà beatificata, il prossimo 22 maggio a Lione. Anche la sua storia merita di essere raccontata, perché testimonia come le Opere Missionarie nascono dal basso, dal carisma dei laici, portando avanti una idea di missione popolare efficace e straordinaria.
Ma andiamo con ordine. Attualmente, le Pontificie Opere Missionarie sono quattro, tutte fondate nel XIX secolo: la Pontificia Opera dell’Infanzia missionaria. fondata nel 1843 in Francia da monsignor Forbin-Janson; la Pontificia Opera della Propagazione della Fede, fondata appunto da Pauline Jaricot; l’opera missionaria di San Pietro Apostolo, nata nel 1889, su ispirazione del vescovo Cousin di Nagasaki, per la formazione dei sacerdoti, e messa in pratica da Stefanie e Jeanne Bigard; e infine la Pontificia Unione Missionaria, che è una associazione di clero, religiosi e laici, per suscitare nella Chiesa la passione per la missione.
Le opere avevano avuto subito una vasta eco internazionale, ed erano sorte un po’ ovunque nel mondo. Poi, era scoppiata la Prima Guerra Mondiale, e subito dopo era diventato difficile far “parlare” tra loro le agenzie che si trovavano in Paesi che erano stati belligeranti. Pio XI risolse il problema con il motu proprio “Romanorum Pontificum”. In pratica, portando la sede centrale a Roma, le sedi nazionali potevano lavorare indipendentemente, senza legami nazionali se non quelli con la Santa Sede e dunque evitando i conflitti che potevano venire quando a parlarsi erano i rappresentanti di due Paesi precedentemente in guerra.
È un segno di come la romanità sia garanzia di globalità, e non centralizzazione, come si pensa spesso. E, in fondo, la filosofia di Pauline Jaricot era qualcosa di più simile ad un passa parola, ad una unione dal basso, che ad una opera delle dimensioni mastodontiche.