Esattamente, il Papa dice che dobbiamo andare alle periferie. Benissimo! Ma il passo successivo è che quella periferia non deve esistere, perché ogni luogo è il centro della Chiesa. È un po’ il discorso che il Papa ha fatto per il messaggio della giornata missionaria del 2017, quando ha scritto che “la missione è al cuore della fede cristiana”. La missionarietà è al centro della fede cristiana. Il passare mari, il passare i luoghi, è solo l’aspetto accidentale del muoversi, ma il cuore è sempre lì dove c’è qualcuno, dove l’annunzio del Vangelo è fatto: quello è il cuore della Chiesa. È interessante in quella visione che il Papa dà nella inclusività, non nella esclusività – tu sei qua, tu sei là, eccetera… - la fede annulla queste distanze. Io ricordo che una volta in Cina, un cristiano mi disse: “Parliamo lingue diverse, ma io non mi sento diverso da lei. Abbiamo la stessa fede, e quando entro in una chiesa, mi sento a casa”.
Dalla prima enciclica missionaria del XX secolo, la Maximum Illud, all’ultima, la Redemptor Hominis, c’è un dato che salta agli occhi: nell’ultima, San Giovanni Paolo II si sente nella necessità di dover reiterare i dogmi della dottrina cristiana, cosa che non fa Benedetto XV. Perché?
Al tempo della Maximum Illud l’Occidente aveva anche maggiore omogeneità. Oggi, per un processo di secolarizzazione, ma anche di integrazione, la realtà è più frammentata. Ci sono tanti popoli che migrano. Ad esempio, l’Italia, una volta considerato Paese cattolico, ora è pieno di espressioni religiose, culture, provenienti da luoghi dove Cristo stesso non è arrivato. C’è, in generale, una società che comprende tuto, dal fedele che conosce e non conosce al secolarizzato che ha perso il senso della fede, all’ateo, a chi ha differenti credi religiosi. In questa multilateralità, è chiaro che la prima domanda cui rispondere è: “Io chi sono? Cosa credo? Chi è Gesù Cristo?”
Lei che è stato diplomatico, sa che la missione è sostenuta anche dal lavoro diplomatico della Santa Sede, che punta a garantire la libertas ecclesiae. Succede in posti caldi, e il primo esempio che viene in mente è quello della Cina. Come fare a far sì che diplomazia e missionarietà vadano di pari passo?
Non sempre vanno di pari passo. A volte ci sono dei contrasti, perché le esigenze della diplomazia non sono sempre quella della fede, e le esigenze della fede sono oltre la diplomazia – intesa, questa, anche come relazioni tra Stati. La fede va oltre tutto questo. Ma è chiaro che, quando uno Stato percepisce di dover essere uno Stato totalitario, non controllando solo il cittadino, ma anche la sua mente e il suo cuore, la libertà della Chiesa viene meno. Così come viene meno la libertà della Chiesa in quei Paesi dove si rivendicano le tradizioni religiose come fondanti, non dando spazio ad altri. In quei casi, significa che stiamo regredendo, perché non è possibile che identificando religiosamente dei luoghi ci si ispiri soltanto a conservare uno status quo che non lascia spazio ad altri.
Cosa succede in quei casi?
L’unica concessione che viene fatta dai leaders, a volte, è sottolineare di essere un Paese tollerante. Ma la tolleranza non è cristiana. La libertà è cristiana. Personalmente, quando mi trovo in queste situazioni, sottolinea che la tolleranza per non scontrarsi va bene, ma si tratta solo di un primo passo, perché l’obiettivo è quello della libertà religiosa. Alcuni Stati dicono che è permessa la libertà di culto. Che non è la stessa cosa. La libertà di culto è la necessaria conseguenza della libertà religiosa, in cui ciascuno è libero di annunziare la propria fede. E io sono libero di annunziarla, l’altro di accettarla oppure no.
Sembra che la libertà religiosa sia minacciata soprattutto ad Est: penso agli Stati islamici in Medio Oriente, o a Paesi ancora di mentalità comunista, come Laos, Cina, Vietnam…
Dobbiamo evitare di generalizzare. Tante volte, le situazioni nei Paesi sono create da identità che cercano di prendere il potere in mano e usano a loro vantaggio la persecuzione religiosa. Ma va ricordato che il vero leader non si poggia sul senso del partitismo. Ha una visione molto ampia. Non dovrebbe mai negare i diritti fondamentali. Ma questo atteggiamento è frutto di una mentalità in cui una cultura dominante fa paura. Allora si indietreggia e ci si chiude e si mettono barriere e cancelli. Come diceva San Giovanni XXIII, in tanti chiudono le finestre perché hanno paura dell’inquinamento. Ma non considerano che insieme all’inquinamento entra anche tanta aria buona.
Cosa è la missione oggi?
L’annunzio del Vangelo a tutti i popoli. M questo non significa che tutti devono diventare cristiani. La presenza cristiana è un servizio. Basti pensare che abbiamo potuto creare migliaia di scuole, come anche nel Medio Oriente, e queste sono frequentate e richieste anche da membri delle altre religione. Perché? Perché si sa che nelle nostre scuole l’insegnamento è un bene per la persona, e i valori sono un bene per la persona. La scelta, poi, di essere cristiano, musulmano o indù è soggettiva e personale. Dipende dalla famiglia e dalla cultura. Noi però diamo i valori fondamentali. Quando ci si chiude e si crea una scuola tipicamente confessionale, comincia ad esserci un serio problema.
Ma evangelizzare è anche convertire?
No. Evangelizzare è proporre il Vangelo con l’annunzio e come dice Papa Francesco per contatto, con la testimonianza. Non per convertire, perché andare per convertire significa andare con piedi pesanti e rompere tutto. Chi entra in questo modo rischia anche di diventare un po’ “jihadista”. Gesù non ha mai imposto niente, ha sempre proposto. Non ha mai obbligato nessuno. E, accanto alla proposta, c’era il contatto. Così dobbiamo lavorare.
Ci sono vocazioni missionarie oggi?
Nei Paesi sotto la gestione della Congregazione c’è grande aumento di vocazioni missionarie, tanto che i vescovi sono chiamati a fare una forte selezione. Non tutti i missionari sono chiamati a fare i sacerdoti, ma ci sono tante vocazioni in terra di missione. Specialmente perché ci sono molti figli, molta realtà umana. Non vale solo per la Chiesa, ma vale anche per la società.