Napoli , martedì, 6. novembre, 2018 10:00 (ACI Stampa).
La vita di santità esige una perfetta aderenza della condotta ai dettami evangelici. La scelta dello stato, però, fa in modo che si può essere sacerdoti, religiosi, mariti, mogli oppure rimanere nel mondo come laici. Giovan Battista Jossa (1767-1828) fu uno di questi: un laico terziario agostiniano.
Era usciere presso il Tribunale di Napoli e qui fece della sua professione, una missione: aiutò i poveri, gli ammalati, gli ex carcerati e tutti coloro che lo incontravano nei corridoi del palazzo di Giustizia. E pare immaginarlo in girò per quelle stanze, dove si amministrava la giustizia umana, in cerca di quella Divina che illumina e riscalda il cuore.
Trascorso l'orario di lavoro passava molto tempo davanti al Santissimo Sacramento in preghiera con la gioia di incontrare un Padre a cui raccontare la quotidiana esistenza. Devotissimo di Sant'Agostino, ne prese gli esempi e ne praticò la Regola di vita pur rimanendo nel mondo. Questo santo che dopo una vita piena di esperienze aveva sentito la voce di Dio, per il tramite delle preghiere della Madre Santa Monica e gli ammonimenti di sant'Ambrogio, fu il vero modello per la vita di Jossa.. Ne lesse la vita ma di più ne praticò l'esempio. Coerente con la devozione al Santo vescovo di Ippona, fu un uomo di preghiera e di carità. L'amore move il cielo e le stelle - recita il sommo poeta Dante - e Dio bussò alla porta di Giovan Battista Jossa, rendendolo un autentico apostolo, dietro al santo padre Agostino.
Oltre a ciò il suo amore fu incondizionato si manifestò verso i piccoli ed i poveri: entrava nelle case dove mancava il pane e vi riportava il dolce sorriso di Dio e qualcosa da mangiare.
Non c'era luogo dove mancava la sua presenza: case, ospedali, strade. In questi ambienti trovava una lacrima da asciugare ed una parola da donare: e non si risparmiava. Dava tutto ciò che poteva ed alle volte anche di più. Dimentico di se stesso, guardava agli altri.