Sono tutti temi che si ritrovano nella presentazione del libro fatta dal Cardinale Parolin.
“Il Papa – ha detto il Cardinale Parolin il 18 ottobre – era consapevole di quanto la regolazione delle nascite fosse una questione che non toccava semplicemente l’agire morale delle coppie cristiane. Si trattava di dare un giudizio di orientamento”.
Quello di San Paolo VI verso la stesura dell’enciclica è stato un percorso sofferto, come lo fu il percorso dell’Humanae Vitae stessa.
Cominciò nel 1963, quando Giovanni XXIII aveva stabilito una commissione per lo studio dei temi del matrimonio, la famiglia e la regolazione delle nascite.
Poco dopo, Giovanni XXIII morì. Paolo VI, il successore, allargò la commissione da 6 a 12 persone, e nel 1965 la aumentò ulteriormente a 75 membri, sotto la presidenza del Cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio – l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede.
“Paolo VI – ha spiegato il Cardinale Parolin – guardò a Humanae Vitae come un immediato sviluppo delle parole nuove e autorevoli che il Concilio Vaticano II ha saputo dire sul matrimonio e la famiglia, e aveva riconosciuto che queste realtà erano il primo dei problemi più urgenti della presenza della Chiesa nel mondo del suo tempo”.
Era un giudizio che “è rimasto vivo in questi decenni – nota il Segretario di Stato vaticano – considerando che “Giovanni Paolo II volle essere ricordato come il Papa della famiglia”, Benedetto XVI ha continuato su questo percorso, declinandolo dal punto di vista della carità sia nella Deus Caritas Est e nella Caritas in Veritate e Papa Francesco ha voluto mettere la famiglia al centro della Chiesa con ben due sinodi dedicati al tema.
Come si è sviluppato l’approccio al tema del controllo delle nascite? Spiega il Cardinale Pietro Parolin che “all’inizio il catalizzatore fu la preoccupazione per la diffusione delle politiche anti-nataliste”, quindi “il centro dell’attenzione fu calamitato da problematiche di tipo storico morale, e si ritenne che l’obbligatorietà di seguire i principi morali fosse l’unica via percorribile affinché la Chiesa potesse esprimersi in maniera convincente nel mondo”.Due prospettive che . nota il Cardinale Parolin - “non si devono contrapporre in maniera astratta. C’è bisogno di una sapienza ecclesiale pastorale che non si trova in molti protagonisti di quegli anni”.
Il riferimento indiretto è proprio alle polemiche che precedettero la pubblicazione dell’enciclica.
Il tema del controllo delle nascite era entrato di prepotenza nella discussione sulla Gaudium et Spes, la Costituzione Conciliare che riguardava l’impegno della vita nel mondo contemporaneo.
Paolo VI però decise di avocare la questione a sé, chiedendo tra l’altro di inserire nella Gaudium et Spes corpose sezioni in cui si ribadiva l’insegnamento della Chiesa sui temi del matrimonio e la famiglia, con riferimenti alla Casti Connubii di Pio XI e ai discorsi di Pio XII alle ostetriche, nonché alla necessità di una condanna dei metodi anticoncezionali e l’esigenza di una esplicita considerazione della castità coniugale, perché “per il Papa quel capitolo poteva suscitare equivoci”.
Il primo risultato delle commissioni fu quello di una istruzione pastorale temporanea, una – sottolinea il professor Marengo – “soluzione provvisoria di fronte all’impossibilità di giungere ad un convincente pronunciamento dottrinale”, un testo proposto dal teologo Carlo Colombo in cui si dichiarava che “non sempre le pratiche contraccettive dovevano essere considerato colpa grave”, un modo per non distaccarsi troppo dagli insegnamenti di Pio XI e Pio XII, ma allo stesso tempo “stemperare gli eventuali conflitti di coscienza tra i coniugi”, nota Marengo.
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Ma questo non piaceva a Paolo VI, che invece era preoccupato “di evitare che la Chiesa, in specie il Magistero, si mostrasse incapace di dire una parola chiara su un tema così dibattuto nell’opinione pubblica”.
In più – scrive ancora il professor Marengo – per il Papa era inaccettabile “favorire un mutamento di indirizzo del magistero, per di più giustificato non da ragioni forte e condivise, ma dall’incapacità di giungere a sciogliere tutti i nodi ancora sul tappeto”.
Paolo VI cerca piuttosto un equilibrio tra pastorale e dottrina, sintesi difficile, perché – scrive ancora Marengo - “in quella stagione un certo appello alla pastoralità era stato usato per mettere in discussione tratti non secondari della dottrina ecclesiale: fu questo uno dei fattori più evidenti di disagio e incertezza nel corpo ecclesiale”.
È il 1967, si inaugura un nuovo percorso di studio e cominciano le pressioni internazionali, Il rapporto cosiddetto di maggioranza della commissione, favorevole all’uso della pillola a certe condizioni, fu fatto filtrare alla stampa (ai giornali Le Monde, The Tablet e National Catholic Register), creando per l’enciclica una aspettativa che poi si risolve in una grande delusione.
Ma era tutto il dibattito ad essere deviato. Il Cardinale Karol Wojtyla, membro della commissione, coinvolse l’episcopato polacco nella discussione, inviò un memoriale chiedendo di non cambiare l’insegnamento morale della Chiesa, e addirittura dopo la pubblicazione chiese al Papa un documento per riaffermare che quella contenuta nella Humanae Vitae era dottrina magisteriale.
In questo dibattito si staglia la figura di San Paolo VI. “I testi pubblicati e commentati nel libro del professor Marengo – ha sottolineato il Cardinale Parolin – chiariscono che il Papa non aveva dubbi sul contenuto dottrinale che l’enciclica avrebbe dovuto avere, e smentiscono il mito di un Paolo VI incerto, titubante e amletico”.