L’idea di fondo era quella di discutere a Roma le questione per avere la maggior ricchezza possibile di esperti e per permettere ai vescovi di conoscersi e di conoscere la struttura della Curia romana.
Karol Wojtyła era uno dei padri del Concilio, ne aveva seguito tutte le sessioni e certo la questione della collegialità doveva essere rimasta impressa a fondo nella mente del giovane vescovo polacco.
Tanto che nel sinodo straordinario indetto nel 1985 a venti anni dal Concilio per valutarne applicazione ed effetti, si tornò al tema della collegialità con una certa insistenza.
Il dibattito fu acceso e alla fine la richiesta dei vescovi era che la questione fosse affrontata anche nel merito delle Conferenze Episcopali, che in molti paesi erano nate solo dopo il Concilio.
I temi affrontati arrivano nel 2001 alla figura del vescovo e di nuovo al Sinodo stesso tramite l’idea di collegialità. E al termine dei lavori nella relazione finale, il cardinale di Buenos Aires Bergoglio lascia aperto un interrogativo: “Oltre al rapporto giuridico di comunione gerarchica, come si potrà incoraggiare la collegialità affettiva e più ancora il vincolo di comunione fra i vescovi in quanto successori degli apostoli e il Successore di Pietro? Quali iniziative si potranno prendere per rafforzare questi legami di carità e perché tale comunione si manifesti meglio a tutti, credenti e non credenti, in tutto il mondo?”.
Il senso stesso del Sinodo per Giovanni Paolo II si ritrova in un discorso tenuto a braccio al termine del sinodo del 1990. Il tema era quasi una seconda tappa sulla teologia del Popolo di Dio, dopo i fedeli laici e prima dei vescovi il sinodo affrontava “La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali”. E si celebravano anche i 25 anni di vita del sinodo stesso.
Al termine dell’agape fraterna dopo la messa conclusiva, Giovanni Paolo II prende la parola.
“25 anni, il sinodo non è più un bebè, è un giovane abbastanza cresciuto, un giovane adulto, potrebbe sposarsi! (...) Io sono uno che ha vissuto tutto il Concilio e vissuto tutto questo periodo post conciliare che è marcato dai diversi sinodi, ho vissuto e partecipato. E mi ricordo un po’ che all’inizio, anche venti anni fa, c’erano grandi speranze intorno al sinodo e queste speranze si sono mostrate fallite. E c’erano dall’altra parte grandi paure a causa di queste speranze. E anche queste paure si sono mostrate non fondate, non dico che sono fallite, ma non fondate. (...) Oggi viviamo i sinodi uno dopo l’altro con una grande serenità e sempre una maggiore serenità. Se mi ricordo gli ultimi sinodi, anche con tematiche difficili, questo strumento della collegialità dei vescovi è uno strumento efficace. E poi è uno strumento non tanto nelle mani nostre, è uno strumento nelle mani di Dio dello Spirito Santo. E questo andava crescendo se prendiamo il penultimo sinodo con la grande partecipazione dei laici che hanno molto lavorato per convertirci! (...) E la collegialità è sempre piena quando c’è dentro il Papa. Non dico cum Petro sub Petro, ma dentro il Papa! (...)Allora si vede come questo strumento esprime la tradizione apostolica la istituzione di Cristo, questa istituzione meravigliosa. Ci ha lasciato una struttura allo stesso tempo collegiale e primaziale. Primaziale e collegiale.”
E concluse con un pensiero a chi lavora: “Quando si parla a Santa Marta si devono ancora aggiungere alla persone, cui abbiamo fatto i ringraziamenti, le nostre suore di Santa Marta e le loro collaboratrici. Loro portano in se il simbolo di Marta e lo spirito di Maria, ringraziamo per la ospitalità e la accoglienza e questo pranzo conclusivo che nella lingua vetero cristiana, dei primi cristiani si chiama agape, e penso che non è stato molto distante da quello che era un’ agape dei primi cristiani, dopo l’ Eucaristia. Allora arrivederci Santa Marta per un altro sinodo, o ad instar synodi”.
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