Dalle riflessioni e dalle discussioni presentate attorno ai vari volti del fenomeno migratorio, emerge un quadro molto variegato, un mosaico di esperienze e attività che, se da una parte mostrano bene la lunga e consolidata esperienza della Chiesa nella pastorale delle persone in mobilità, allo stesso tempo, dipingono una realtà sociale con tendenze alquanto preoccupanti e in continuo cambiamento obbligando ad una vigilanza permanente.
Ecco le conclusioni come sono raccontate in un comunicato del CCEE.
L’accoglienza dei migranti, dei rifugiati e richiedenti asilo
Sempre più oggi alcuni migranti sonno visti con sospetto, diffidenza e pregiudizi, se non addirittura con ostilità. Anche di fronte ai drammi umani che continuano ad alimentare i telegiornali del continente, la risposta sembra essere quella della distanza, della rassegnazione, se non dell’indifferenza. A questa situazione, non poco ha contribuito una politica che, tanto a livello nazionale che europeo, ha e continua ad affrontare il fenomeno migratorio soltanto in termini di budget e di sicurezza. Il migrante - che lo sia per motivo economico, politico, religioso e/o di guerra - non è un ‘numero’ che gli Stati possono spartirsi a convenienza. Di fronte ad un crescente ‘egoismo sociale’, la Chiesa, mossa dall’amore di Dio per ogni persona, è spinta a suonare un campanello d’allarme e sente la responsabilità di essere voce profetica, chiedendo agli Stati di assumere la loro responsabilità, con coscienza della situazione d’indigenza di tanti che esigono mezzi reali di solidarietà anche in vista del bene comune, nel gestire l’arrivo di migranti, rifugiati e richiedenti asilo con dignità e tutelando i loro diritti umani.
E’ infatti la dignità umana, il paradigma che deve ispirare qualsiasi scelta pastorale o di governo allorché si ricercano soluzioni atte a rispondere ad esigenze concrete e/o al miglioramento di leggi e procedure che regolano il fenomeno migratorio. E’ importante e urgente ricordare che l’impegno della Chiesa e degli Stati non è solo nei confronti di situazioni di disaggio o di emergenze, ma è un impegno rivolto innanzitutto a delle persone concrete in qualunque circostanza. La Chiesa sa che Dio accompagna la Storia e crede che le migrazioni sono parte del progetto provvidenziale di Dio. Per questo deve annunciare che la fede è più forte di tutte le differenze culturali, sociali e nazionali.
Se accolto come persona, il migrante si rivela essere anche un dono per la comunità locale. La sfida dell’accoglienza non è quindi solo una sfida logistica, interventistica, è innanzitutto una sfida educativa delle persone e delle comunità che accolgono: è un invito e una pedagogia ad aprirsi al dialogo. In ambito ecclesiale, sembra necessario pertanto riprendere una riflessione sulle ragioni etiche che sostengono l’attività e la posizione della Chiesa sul fenomeno migratorio.
Le comunità di migranti e la questione della celebrazione dei sacramenti
Superata la fase di ‘prima accoglienza’, le comunità di migranti possono essere un’occasione di rinnovamento della vita ecclesiale a livello locale o, al contrario, l’emigrazione può portare ad un impoverimento se non l’abbandono della pratica religiosa. Il problema che emerge in questo campo è quindi quello di preservare l’identità religiosa e culturale di una determinata comunità senza che questo avvenga a scapito dell’integrazione, né bisogna forzare un’assimilazione che porta spesso all’abbandono della pratica religiosa. Anche in questo caso, non esiste una ricetta miracolosa, un modello unico. E’ necessario usare una grande sensibilità pastorale che sappia leggere la realtà di ogni situazione territoriale particolare dando così risposte adeguate alle varie realtà. Quello che appare evidente è la necessità di superare una pastorale di conservazione per andare sempre più verso una pastorale di evangelizzazione: una pastorale che sia capace di comprendere le varie esigenze del territorio, poiché ogni contesto sociale necessita di una sua risposta specifica e originale. Per questo è necessario da una parte una migliore formazione dei sacerdoti che devono fungere da ‘ponte’ tra comunità di migranti e chiesa locale, e dall’altra evitare che la religiosità tradizionale si trasformi in una religiosità culturale, ossia una religiosità che non sia frutto di un cammino di fede, ma una pratica che appartiene al folklore di una cultura e si riduce a caratterizzare un’appartenenza identitaria.
La tratta degli esseri umani e le nuove forme di schiavitù
Nel corso dei lavori sono state presentate varie esperienze nel campo della lotta alla tratta degli esseri umani e alle nuove forme di schiavitù. A partire dai risultati ottenuti dalla collaborazione tra Chiesa e forze di polizie nazionali come l’esperienza avviata dal “Santa Marta Group”, e di altre simili esperienze, i partecipanti hanno ribadito l’importanza di fare rete e la cooperazione tra organismi ecclesiali, ecumenici o interreligiosi, con realtà della società civile.
Anche in questo caso è necessario andare oltre la logica dell’emergenza. Bisogna prevenire oltre che curare partendo dalle origini del problema. Se povertà e disaggio sociale caratterizzano quanti cadono nella trappola delle moderne schiavitù (della prostituzione, del turismo sessuale, dello sfruttamento lavorativo, del commercio di organi) il vero problema è la domanda, in costante crescita e alimentata dalle nuove tecnologie. Internet costituisce un no man’s land giuridico che alimenta un’economia sotterranea difficilmente controllabile. Mentre i partecipanti dicono il loro grazie alle migliaia ‘formiche di Dio’ che lavorano in strada accanto a quanti sono vittime di questo commercio disumano, denunciano con forza quanti ricorrono a questo genere di ‘prestazioni a pagamento’ come complici di questa realtà: è scandaloso – e certamente non cristiano ma neanche umano – abusare di un’altra persona per soddisfare i propri bisogni. Anche in questo caso, debellare la tratta o lo sfruttamento di persone umane passa attraverso l’impegno educativo. In questo senso, i partecipanti hanno salutato l’istituzione, quest’anno, della Giornata Mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta delle persone (8 febbraio).
La pastorale e l’annuncio del Vangelo ai cinesi in Europa
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L’immigrazione cinese non è certo recente in Europa, ma ha raggiunto una dimensione sempre più consistente nel corso degli ultimi decenni. A differenza di altre immigrazioni, essa ha una dimensione prevalentemente familiare e si muove all’interno di una diaspora composta da numerose comunità stabilmente presenti sul territorio europeo. Negli ultimi anni, alcune Conferenze episcopali hanno investito molto nella formazione di sacerdoti, in particolare nel campo linguistico e culturale. Infatti, l’integrazione di una comunità come quella cinese, spesso percepita come ‘ermetica’ rispetto alla comunità locale, passa innanzitutto attraverso la presenza e la condivisione dello stesso spazio di vita, attraverso una prossimità che si esprime innanzitutto parlando la loro stessa lingua.
L’incontro si è concluso giovedì 2 luglio con un pellegrinaggio alla Collina delle Croci, per ricordare le numerose vittime delle migrazioni nel mondo.