L’11 settembre della Chiesa, cui la Chiesa “guarda piena di sconcerto”, è lo scandalo degli abusi, il rapporto del Grand Jury della Pennsylvania, il caso McCarrick, tutti temi che venivano fuori mentre l’arcivescovo Gaenswein leggeva il libro, e che gli hanno fatto pensare a questa assonanza, non paragone, perché non si possono – dice l’arcivescovo Gaenswein “paragonare né le vittime né i numeri degli abusi nell’ambito della Chiesa cattolica con le complessive 2.996 persone innocenti che l’11 settembre persero la vita a seguito degli attentati terroristici al World Trade Center e al Pentagono”.
Ma se le cattedrali sono rimaste in piedi, ci sono molte anime “ferite irrimediabilmente e mortalmente da sacerdoti della Chiesa Cattolica”, cosa che trasmette “un messaggio ancor più terribile di quanto avrebbe potuto essere la notizia del crollo di tutte le Chiese della Pennsylvania insieme alla Basilica del Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington.
Fu in quel santuario – ricorda l’arcivescovo Gaesnwein – che il 16 aprile 2008 Benedetto XVI parlò “chino per la profonda vergogna” causata “dall’abuso sessuale dei minori da parte dei sacerdoti”, un lamento che “non riuscì a contenere il male, e nemmeno le assicurazioni formale e gli impegni a parole di una grande parte della gerarchia”.
Sono sempre le parole di Benedetto XVI a fare da linea guida, per l’arcivescovo Gaenswein: dalle parole dell’11 maggio 2010 nell’aereo che lo portava a Fatima, con la tremenda denuncia che “la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa”, a quelle di cinque anni prima, quando, il 25 marzo 2005, nelle ormai celebri meditazioni della Via Crucis al Colosseo il Cardinale Ratzinger denunciò la “sporcizia nella Chiesa”, ma anche la celebrazione “di noi stessi senza renderci conto di Lui”, e la poca fede che c’è “in tante teorie”.
L’arcivescovo Gaenswein allarga ancora lo sguardo, lo posa sull’ecumenismo dei martiri “vero e compiuto” insegnato da Giovanni Paolo II e che si rivede nelle storie di Edith Stein e Dietrich Bonhoefer, che si accompagna però a “un ecumenismo delle difficoltà e della mondanizzazione, un ecumenismo dell’incredulità e della comune fuga da Dio e dalla Chiesa” che “attraversa tutte le confessioni” e che è “l’ecumenismo del generale oscuramento di Dio”.
Sta cambiando una epoca – nota il segretario di Benedetto XVI – ma l’eclissi di Dio, su cui spesso Benedetto XVI si era soffermato nel suo pontificato, “non significa affatto che Dio non c’è più, ma che molti non riconoscono Dio perché di fronte al Signore si sono frapposte delle ombre che lo oscurano”, e che sono le ombre “dei peccati, dei misfatti e dei delitti all’interno della Chiesa”.
Una Chiesa “morta da tempo”, dice l’arcivescovo, che sottolinea di “drammatici numeri relativi alle uscite della Chiesa”, e il fatto che in Germania, tra quelli che ancora non sono usciti dalla Chiesa, solo il 9,8 per cento pratica e va a Messa tutte le domeniche.
Eppure, sottolinea ancora il Prefetto della Casa Pontificia, i primi cristiani sfidarono la morte quando l’imperatore Diocleziano proibì loro di riunirsi la domenica per celebrare l’Eucarestia e di costruire luoghi per le loro assemblee, e 49 cristiani sorpresi ad Abitene (nell’attuale Tunisia) a celebrare l’Eucarestia, affrontarono la morte dicendo “sine dominica non possumus”, senza domenica non possiamo vivere. Una storia che ricordò Benedetto XVI, nel suo primo viaggio da Papa al Congresso Eucaristico di Bari, il 29 maggio 2005.
L’arcivescovo Gaenswein sottolinea che questo episodio ci ricorda che “il così detto obbligo domenicale è in realtà il più distintivo segno dei cristiani”, e il fatto che si senta meno è segno di una crisi che “forse ogni generazione nella storia della Chiesa ha scorto nel proprio orizzonte”.
Eppure, resta la fiducia in Dio, sottolinea l’arcivescovo Gaesnwein, anche di fronte alla “prova finale che dovrà attraversare la Chiesa”, e di cui ha parlato anche il Cardinale Willem Jacobus Ejik, arcivescovo di Utrecht, perché “la persecuzione che accompagna il pellegrinaggio della Chiesa sulla terra svelerà il mistero di iniquità”.
Di Rod Dreher, l’arcivescovo Gaesnwein dice di apprezzare l’analisi, e mette il suo saggio in parallelo con il “Signore del mondo”, il romanzo apocalittico di Robert Hugh Benson, del quale l’opzione Benedetto è più che altro la parte pratica, una sorta di manuale di istruzioni per “la costruzione di un’arca” perché “non c’è alcuna diga con la quale si possa ancora arginare la grande alluvione”, che “non solo da ieri è in procinto di inondare l’antico Occidente Cristiano”.
Il fatto che Dreher sia un laico, e un laico che “desidera conquistare anime al Regno di Dio”, gioca per l’arcivescovo Gaenswein a suo favore, perché la crisi della Chiesa è “nel suo nocciolo, una crisi del clero”, ed è “scoccata l’ora dei laici forti e decisi, soprattutto nei nuovi mezzi di comunicazione cattolici indipendenti”.
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Tutto porta a Norcia, e Rod Dreher stesso nota che “quattro anni dopo aver cacciato i Benedettini da quella che era la loro casa da quasi un millennio, l’impero di Napoleone era in rovina, e lui era in esilio. Oggi, si può nuovamente sentire il suono del canto gregoriano nella città natale del Santo”.
L’arcivescovo Gaenswein ricorda che anche la Basilica di San Benedetto a Norcia è crollata a seguito del terremoto del 2016 (ne è rimasta in piedi solo la facciata), e che “negli ultimi giorni spesso all’interno della Chiesa si è sentito ripetere il concetto di terremoto associandolo a quel crollo per il quale, come affermo, ora anche la Chiesa ha sperimentato il suo “Nine/Eleven”, il suo 11 settembre”.
E Dreher ha sottolienato che, dopo il crollo della Basilica, padre Cassiano “rifletté che il terremoto simboleggiava lo sbriciolarsi della cultura cristiana dell’Occidente, ma che c’era un secondo simbolo di speranza quella notte: ‘Il secondo simbolo erano le persone raccolte attorno alla statua di san Benedetto, in piazza, per pregare’, scrisse ai sostenitori. ‘È l’unico modo di ricostruire’”.
Anche Benedetto XVI, confida Gaenswein, dopo la rinuncia del 28 febbraio 2013 sente “come suo dovere dedicarsi soprattutto alla preghiera per la Madre Chiesa, per il Suo successore Francesco e per il Ministero petrino istituito da Cristo stesso”. Una ricerca di Dio che lui aveva descritto di fronte alla élite intellettuale di Francia, al College des Bernardins, descrivendo i monasteri dove “sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove veniva lentamente formata una nuova cultura” a motivo della ricerca di Dio dei frati.
L’arcivescovo Gaenswein, cita una frase del Capitolo 4,21 della Regola di San Benedetto: “Nihil amore Christi preponere”, “nulla si anteponga all’amore di Cristo.
E chiosa: “È la chiave alla quale si deve l’intera meraviglia del monachesimo occidentale. Benedetto da Norcia è stato un faro durante la migrazione dei popoli, quando nei rivolgimenti del tempo salvò la Chiesa e rifondando con ciò in certo senso la civiltà europea. Ora però viviamo nuovamente da decenni – e non solo in Europa, ma su tutta la terra – una migrazione dei popoli che mai più giungerà a una fine, come ha chiaramente riconosciuto Papa Francesco appellandosi con insistenza alla nostra coscienza. Anche questa volta dunque non tutto è diverso rispetto ad allora”.