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Il relatore dello Schuelerkreis: “C’è bisogno di una laicità benevola”

Professor Udo Di Fabio | Il professor Udo Di Fabio, giurista che ha fatto da relatore al Ratzinger Schuelerkreis di quest'anno, a Castel Gandolfo dal 6 al 9 settembre | Wikimedia Commons Professor Udo Di Fabio | Il professor Udo Di Fabio, giurista che ha fatto da relatore al Ratzinger Schuelerkreis di quest'anno, a Castel Gandolfo dal 6 al 9 settembre | Wikimedia Commons

La visione di uno Stato “neutrale nei confronti delle religioni”, ma che allo stesso tempo ne riconosca il ruolo e il valore, è quella proposta da Udo Di Fabio al circolo di ex allievi di Benedetto XVI. Cattolico, già membro della Corte Costituzionale di Germania, molto ben conosciuto dal Papa emrito, Di Fabio ha parlato al Ratzinger Schuelerkreis che si è riunito dal 6 al 9 settembre a Castel Gandolfo. Con ACI Stampa, affronta il tema dell’incontro, “Chiesa e Stato, Chiesa e società”, fornendo la sua visione di una “laicità benevola”.

“Chiesa e Stato, Chiesa e società” è il tema del Ratzinger Schuelerkreis. Quanto è cruciale questo tema oggi?

La questione del rapporto tra Chiesa e Stato è antica quanto il cristianesimo, e riappare in ogni epoca. Oggi, si può osservare come istituzioni apparentemente forti perdono il loro potere di persuasione, mentre gli Stati non sono più una forma di potere circoscritta e perdono il loro potere di definire il bene comune. Ma questo processo di individualizzazione interessa anche le comunità religiose cristiane, e per questo è sempre più difficile far rispettare con autorità i propri comandamenti normativi. Succede però che, man mano che le Chiese perdono di influenza, si creano lacune metafisiche che vengono riempite dal sistema politico e dall’orientamento personale di ciascuno, e non sempre nel modo in cui una società ragionevole farebbe. Per questo, la questione Stato e Chiesa resta una questione importante.

In generale, gli Stati tendono ad esercitare un certo controllo sulle Chiese, a volte anche andando oltre la libertà religiosa. Succede per esempio con il diritto alla libertà di coscienza, non formalmente negato, ma spesso compromesso da disposizioni di legge che, di fatto, impongono alle persone di obbedire allo Stato, piuttosto che alla loro coscienza. Crede che questo fenomeno sia in aumento? E come può essere contrastato?

La società attuale tende ad estendere i suoi standard laici, economici o politici in tutti gli ambiti della vita umana. Diminuisce il rispetto per le aree delle comunità religiose, delle famiglie, delle associazioni, persino delle menti delle persone e della loro coscienza. Ci siamo abituati a fare leggi su praticamente ogni aspetto della vita umana. Il fatto che le Chiese abbiano i loro diritti nelle loro istituzioni e possano proibire al loro interno un comportamento che non corrisponde ad una etica cristiana o ecclesiastica è a malapena considerato.

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Lei ha parlato spesso della necessità di una “bevola neutralità” dello Stato verso le religioni. Come si applica questa neutralità benevola?

Gli ordini costituzionali occidentali non riconoscono nessuna Chiesa di Stato, e persino la Costituzione dell’Inghilterra è praticamente neutrale nei confronti dell’anglicanesimo. Lo Stato è neutrale rispetto alle credenze e alle credenze religiose dei suoi cittadini, non prende alcuna posizione in una direzione o nell’altra. Ciò, però, non impedisce di riconoscere e rispettare il valore culturale e morale della vita della comunità religiosa. Una comunità religiosa che rafforza i prerequisiti socioculturali della vita della comunità può essere trattata favorevolmente dallo Stato. Ci deve essere una mano tesa per la cooperazione riguardo ogni fede. Le Chiese cristiane, così come anche altre comunità religiose, possono essere partner dello Stato. Lo Stato vive in condizioni culturali che sorgono e si sviluppano in una società plurale. Politicamente, non devono avere voce in capitolo. Ma non si possono nemmeno ignorare le forze costruttive. Questo significa ‘neutralità benevola’.

In che modo ci può essere sana relazione tra Chiesa e Stato?

La relazione sana è quella che mantiene la distanza. Le comunità religioso non sono utili servitori di servizi o al servizio dei dibattiti politici, ma sono spazi ingombranti, con un loro peso. Al contrario, per un credente lo Stato non deve essere lo strumento per produrre il mondo perfetto secondo gli standard religiosi. Anche il dominio politico deve essere rispettato nella sua logica intrinseca. Quindi si tratta di avere una prossimità istituzionale reciproca con una distanza ben definita.

In che modo il ruolo della Chiesa può essere riconosciuto nel pieno rispetto delle prerogative dello Stato?

Le morali laiche e religiose sono in molti casi coerenti, ma non è sempre così. La Chiesa rispetta la legge secolare, la considera vincolante, perché altrimenti la funzione di pace superiore dell’ordine giuridico statale non può funzionare. Ma, come ogni cittadino, il credente è sottoposto alla sua coscienza ed è in grado di giudicare ragione individuale e credenze morali del diritto, valutando quando c’è un piano legislative che non si può seguire per via delle conseguenze cui porta l’applicazione di quella legge.

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