Più difficile seguire le tracce delle opere minori o ritenute poco interessanti. Certo il criterio ottocentesco di valutazione delle opere ha fatto si che perfino quadri di Sassoferrato, Locatelli, Valentin furono ritenuti di nessun valore.
La Madonna Colonna, firmata da Raffaello non era di certo tra queste opere considerate minori.
La vendita illegittima dell’opera, scoperta e denunciata dal camerlengo Pietro Francesco Galleffi che si richiamava alla severità delle leggi papali che imponevano che i pezzi di pregio anche in mano ai privati fossero vincolati all’interesse dello Stato. Se qualcuno voleva vendere in pratica il Papa aveva diritto di prelazione.
Il Camerlengo non ha a cuore solo l’opera ma il rispetto della legge. E qui si cambia passo. A Galleffi non interessava il rapporto con la Prussia, al Papa si.
Galleffi pensava che far uscire una simile opera da Roma, “per compiacere il desiderio di un sovrano estero, avrebbe originato un precedente, politico, diplomatico, ma anche giuridico, tale da rendere difficile esigere il rispetto delle leggi nello Stato, se lo Stato stesso, per primo, mancava al loro adempimento” spiega Chiara Mannoni.
Leone XII deroga alla salvaguardia del patrimonio, in nome della ragion di Stato.
Del resto succedeva da tempo. Successe anche per la collezione del principe polacco-lituano Stanislaw Poniatowski che portò a Firenze quadri e bozzetti attribuiti a Borgognone, Rubens, Guercino, Palma, Giorgione, Sassoferrato, Carracci, Veronese, Bellini e molti altri.
Re Ludovico I di Baviera, 1819 portò a casa la statua del Fauno Barberini, acquisita per vie non del tutto legali nel 1813 durante l’occupazione francese di Roma e durante il pontificato di Leone XII otterrà altre regolari licenze di esportazione.
Una differenza sostanziale c’è tra le esportazioni autorizzate per opere ritenute “senza alcun valore” concesse per ragioni politiche e diplomatiche, e quelle attuate per vie illecite. Una distinzione molto netta nel pontificato di Leone XII.
Il Papa cosciente della funzione politica e diplomatica che le opere d’arte potevano avere negli ambienti internazionali. Come Pio VII che restitui a Luigi XVIII nel 1815 248 opere requisite da Napoleone. Un atto “di benevolenza” per mantenere buoni rapporti tra i due Stati.
“In un fenomeno solo apparentemente contraddittorio- spiega Chiara Mannoni- la consapevolezza circa la valenza diplomatica di scambi e trasferimenti di opere andava di pari passo con l’affermarsi di norme e controlli più rigidi per “l’estrazione” delle stesse ai termini di legge”.
Infatti il sistema di supervisione di antichità e belle arti fu esteso agli enti territoriali,con un maggior controllo sugli scavi. Come il sarcofago con il Mito di Alcesti requisito nel 1827. Ludovico I di Baviera se lo era accaparrato, ma stavolta Papa e camerlengo, intervennero. Truffa troppo sfacciata e contraria ad ogni diplomazia.
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Gli esempi sono tanti ma significativa è al conclusione della vicenda della Madonna Colonna di Raffaello. Racconta la Mannoni: “Papa Leone XII si era mostrato irremovibile sulla convenienza del cederne la proprietà a Federico Guglielmo III, tanto da rimproverare, nel suo rescritto, il camerlengo Galleffi per aver “dipinto con colori così oscuri” l’intera vicenda. Tuttavia, mentre egli deliberava di far partire il quadro per la Prussia, raccomandava al camerlengo di procedere contro le
infrazioni di Lante, il quale, in fin dei conti, aveva pur sempre alienato il quadro illegalmente: “egli [il camerlengo] calcoli la mancanza del duca per quello che vale, e lo punisca come merita.” Giulio Lante della Rovere, pertanto, fu imputato “a termini di giustizia” e obbligato a pagare un’ammenda per aver smerciato un’opera protetta dalle norme dello Stato”.
La differenza insomma era chiara per Papa Leone XII. Una cosa era esportare un’opera per vie illecite e un’altra esportare per ragioni politiche e diplomatiche.