Il riferimento di Papa Francesco alla piaga degli abusi nella Chiesa cattolica arriva quasi al termine di un discorso che tocca tutti i temi: dalla ricerca della pace alla crisi migratoria da risolvere con “saggezza e lungimiranza”, dalla cultura dello scarto che colpisce anche i non nati all’economia che uccide, fino ad arrivare allo scottante tema degli abusi, partendo dalle difficoltà dei fratelli e sorelle più vulnerabili.
Papa Francesco prima dice, a braccio, che "risuonano ancora nel mio cuore le parole che mi sono state dette all'aeroporto dalla signora ministro dell'Infanzia. Grazie per quelle parole".
Quindi, Papa Francesco parla senza mezzi termini di “fallimento delle autorità ecclesiastiche – vescovi, superiori religiosi, sacerdoti e altri – nell’affrontare adeguatamente questi crimini ripugnanti”, sottolinea che questo fallimento ha “giustamente suscitato indignazione e rimane causa di sofferenza e vergogna per la comunità cattolica”, afferma di “condividere questi sentimenti”, guarda all’esempio di Benedetto XVI che per primo affrontò la piaga degli abusi in Irlanda, incontrando i vescovi, inviando una lettera ai cattolici di Irlanda, inviando visitatori apostolici, per un intervento “franco e deciso” che rappresenta ancora una ispirazione.
Il Papa ha ricordato poi che "più recentemente, in una lettera al Popolo di Dio" ha ribadito la volontà di combattere il dramma degli abusi e adottare regole sempre più stringenti perché gli abusi non avvengano di nuovo, "a qualsiasi costo, morale e di sofferenza".
Ma Papa Francesco ci tiene anche a ricordare che “la Chiesa in Irlanda ha svolto, nel passato e nel presente, un ruolo di promozione del bene dei bambini che non può essere oscurato”, e auspica che la “gravità degli scandali degli abusi serva a sottolineare l’importanza della protezione di minori e adulti vulnerabili da parte dell’intera società”.
Dopo l’incontro e il benvenuto ufficiale nella “Casa Bianca di Irlanda” con il presidente Michael D. Higgins, cui Papa Francesco ha regalato la formella della medaglia del viaggio, Papa Francesco, dopo aver piantato un albero nel giardino della residenza, va al Castello di Dublino, per l’incontro con i membri del governo e del corpo diplomatico. È il primo discorso del viaggio di Papa Francesco, che nel pomeriggio sarà nella pro-cattedrale di Santa Maria e al Centro per senzatetto dei cappuccini, e la sera parteciperà alla festa della Famiglia a Croke Park.
L’Incontro Mondiale delle Famiglie – spiega il Papa alle autorità civili – è la prima ragione della visita, perché “la Chiesa è una famiglia di famiglie, e sente la necessità di sostenere le famiglie nei loro sforzi per rispondere fedelmente e gioiosamente alla vocazione data loro da Dio nella società”.
Il Papa considera l’Incontro Mondiale delle Famiglie “una testimonianza profetica del ricco patrimonio di valori etici e spirituali che è compito di ogni generazione custodire e proteggere”, lamenta le difficoltà che le famiglie affrontano nella società di oggi e mostra preoccupazione per “gli effetti che il dissesto del matrimonio e della vita familiare inevitabilmente comporteranno per il futuro delle nostre comunità”, ricorda che “la famiglia è il collante della società”, e che per questo “il suo bene non può essere dato per scontato, ma va promosso e tutelato con ogni mezzo appropriato”.
Papa Francesco sottolinea che nella famiglia comincia l’educazione alla convivenza, che se si parla del mondo intero come “un’unica famiglia è perché giustamente riconosciamo i legami della nostra comune umanità e intuiamo la chiamata all’unità e alla solidarietà, specialmente nei riguardi dei fratelli e delle sorelle più deboli”.
Papa Francesco sottolinea che c’è bisogno di recuperare il “senso di una vera famiglia di popoli”, andando al di là dell’odio razziale ed etnico e dei “conflitti e violenze inestricabili”, e invita a non perdere mai “la speranza e il coraggio di perseverare nell’imperativo morale di essere operatori di pace, riconciliatori e custodi l’uno dell’altro”.
Un appello alla pace – afferma il Papa – che suona ancora più forte in Irlanda, a venti anni dall’accordo del Venerdì Santo che sancì la fine dei troubles che per 30 anni avevano colpito l’Irlanda del Nord, con migliaia di morti nel conflitto tra unionisti (in maggioranza protestanti) che volevano rimanere legati al Regno Unito e repubblicani (in maggioranza cattolici) che volevano legarsi alla Repubblica d’Irlanda. Un accordo raggiunto con fatica, in cui si riconobbe che la maggioranza degli irlandesi voleva l’unità di tutta l’Irlanda e la maggioranza dei cittadini dell’Irlanda del Nord voleva rimanere legata al Regno Unito, con la conseguente cancellazione da parte del Regno Unito dell’atto che aveva creato l’Irlanda del Nord e che aveva pretese per tutta l’Isola e da parte dell’Irlanda dell’articolo di Costituzione che faceva riferimento all’Irlanda unita.
Un lavoro di mediazione celebrato anche recentemente dall’Ambasciata di Irlanda presso la Santa Sede, alla presenza dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, e che Papa Francesco ricorda come “un contesto dinamico volto alla pacifica ricomposizione di un conflitto che aveva causato enormi sofferenze da ambo le parti”.
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La pace – ricorda Papa Francesco – “è dono di Dio”, che “sgorga da cuori risanati e riconciliati”, ma richiede “una costante conversione, fonte di quelle risorse spirituali e necessarie a costruire una società veramente solidale, giusta e al servizio del bene comune”, un fondamento spirituale senza il quale “l’ideale di una famiglia globale di nazioni rischia di diventare nient’altro che un vuoto luogo comune”.
Papa Francesco si domanda se “l’obiettivo di generare prosperità economica” porti da sé “un ordine sociale più giusto ed equo”, o se invece la crescita della “cultura dello scarto” ci ha resi “sempre più indifferenti ai poveri e ai membri più indifesi della famiglia umana”, compresi “i non nati, privati dello stesso diritto alla vita” – e il riferimento sottinteso è anche alla recente legalizzazione dell’aborto in Irlanda.
Papa Francesco poi parla della “crisi migratoria” che è “forse la sfida che più provoca le nostre coscienze”, la cui soluzione “esige saggezza, ampiezza di vedute e una preoccupazione umanitaria che vada al di là delle decisioni politiche a breve termine”.
Al termine del discorso, Papa Francesco ricorda le buone relazioni tra Irlanda e Santa Sede - che tra l’altro fu tra le prime, novanta anni fa, a riconoscere la repubblica di Irlanda – e fa un accenno alle rinnovate amichevoli relazioni diplomatiche, segnate dalla riapertura dell’ambasciata residenziale di Irlanda presso la Santa Sede dopo la chiusura del 2011.
Ma Papa Francesco guarda ancora più indietro, ai primi evangelizzatori, da Palladio a Patrizio, da Colomba a Colombano, Brigida, Gallo Killian e Brendan, al monachesimo “fonte di civiltà” che si è sviluppato nell’isola, alla fede che si è stabilita nell’isola “anche nelle ore più buie dell’Irlanda”.
“Il messaggio cristiano – sottolinea il Papa - è stato parte integrante di tale esperienza e ha dato forma al linguaggio, al pensiero e alla cultura della gente di quest’isola”.