“Il vero problema è quello di combattere la mentalità sovietica. Si deve passare da una idea assistenzialista, in cui lo Stato provvedeva al minimo indispensabile, ma poi non ti permetteva di avere iniziative, alla necessità e volontà di prendere iniziative. Betanija non può essere solo un luogo dove si distribuisce cibo”, raccontano Vladyslava e Miroslavas.
L’ingresso del Centro è una piccola porta di un edificio poco rifinito. Ma c’è una grande sala comune, che dà direttamente sulla cucina, e poi una lavanderia, le docce, e persino un laboratorio dove si producono candele di tutte le fogge e di tutti tipi, che vengono vendute.
Sulle pareti, una campagna pubblicitaria organizzata dalla Caritas locale, che ritrae i senzatetto truccati e ben vestiti, per dimostrare che al di là dell’aspetto c’è una persona. Ma non è solo una campagna pubblicitaria. C’è chi è rimasto nel centro, è diventato responsabile della produzione, aiuta, è uscito dalla sua condizione di senzatetto.
Raccontano i responsabili che i volontari si dividono in tre gruppi: una trentina hanno lavoro e famiglia e sono lì per dare una mano; quindi ci sono i volontari che vengono dai gruppi parrocchiali, che si aggiungono ai laboratori di alcune aziende, e sono 150 – 200 persone; e poi ci sono una quindicina di poveri che vengono coinvolti anche loro nel volontariato.
“Fino al 2014 – spiegano - Betanija era soltanto una mensa. Poi abbiamo allargato al centro diurno. Fino a quel momento, le persone per poter venire a mangiare dovevano ricevere i permessi particolari che distribuiva il comune, e dovevano tornare a casa per portare il cibo. Le persone dovevano stare fuori in questa fila, indipendentemente dalle condizioni del tempo”.
L’idea di fare un centro con servizi ampliati è stata ispirata dal lavoro fatto dalla Caritas di Milano, e subito hanno cominciato a chiamare i giovani per trascorrere del tempo con le persone, non solo distribuire il cibo.
Vladyslava e Miloslava raccontano che è stato allora “che i visitatori hanno cominciato a cambiare i loro comportamenti, stando a contatto con le persone: sono diminuite le parolacce e le bestemmie, sono stati più attenti nel vestire. I gruppi hanno cominciato a proporre varie attività, laboratori. E questo ha permesso di superare alcune barriere, si sono sentiti più liberi”.
Circa la metà dei frequentatori del centro sono senza dimora, altri sono anziani che sono soli, e vengono al centro diurno per cercare compagnia. In buona parte sono dipendenti dall’alcool. L’inverno si sta sviluppando anche l’idea di accogliere le persone nel centro, perché il freddo può essere pericoloso, letale.
La cosa di cui sono più orgogliosi, però, sono i volontari che sono stati precedentemente assistiti dal centro. Rappresentano, in qualche modo, la speranza che un cambio di mentalità ci potrà davvero essere. Anche dopo la pioggia acida degli anni Sovietici.
(8 – continua)
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