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Apostolos Suos: Giovanni Paolo II e le conferenze episcopali

San Giovanni Paolo II |  | Vatican Media San Giovanni Paolo II | | Vatican Media

20 anni fa, era il 1998, Papa Giovanni Paolo II emanava il Motu Proprio Apostolos Suos con cui ribadiva la natura teologica e giuridica delle conferenze episcopali. 

Il Papa parte dal Concilio Vaticano II e dal Codice di diritto canonico che sull’argomento è chiaro: “La Conferenza Episcopale, organismo di per sé permanente - recita il canone 447 - è l'assemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio determinato, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio, per promuovere maggiormente il bene che la Chiesa offre agli uomini, soprattutto mediante forme e modalità di apostolato opportunamente adeguate alle circostanze di tempo e di luogo, a norma del diritto”.

Nel Motu proprio Giovanni Paolo ribadisce l’unione collegiale tra i vescovi: “come la Chiesa è una e universale, così - scrive Papa Wojtyla - anche l'Episcopato è uno e indiviso si estende tanto quanto la compagine visibile della Chiesa e ne esprime la ricca varietà. Principio e fondamento visibile di tale unità è il Romano Pontefice, capo del corpo episcopale. L’unità dell'Episcopato è uno degli elementi costitutivi dell'unità della Chiesa. L'ordine dei Vescovi è collegialmente, insieme con il suo capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso, soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa. Come è a tutti ben noto, il Concilio Vaticano II, nell'insegnare questa dottrina, ha parimenti ricordato che il Successore di Pietro conserva integralmente il suo potere primaziale su tutti, pastori e fedeli. Infatti il Romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di Vicario di Cristo e di Pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente”.

Il Papa ricorda poi che “l'esercizio congiunto del ministero episcopale concerne pure la funzione dottrinale. Il Codice di Diritto Canonico stabilisce la norma fondamentale al riguardo: i Vescovi, che sono in comunione con il capo del Collegio e con i membri, sia singolarmente sia riuniti nelle Conferenze Episcopali o nei concili particolari, anche se non godono dell'infallibilità nell'insegnamento, sono autentici dottori e maestri della fede per i fedeli affidati alla loro cura; a tale magistero autentico dei propri Vescovi i fedeli sono tenuti ad aderire con religioso ossequio dell'animo. Oltre a questa norma generale lo stesso Codice stabilisce, più in concreto, alcune competenze dottrinali delle Conferenze dei Vescovi, come sono il  curare che vengano pubblicati catechismi per il proprio territorio, previa approvazione della Sede Apostolica, e l'approvazione delle edizioni dei libri delle sacre Scritture e delle loro versioni”.

E sempre in tema di dottrina Giovanni Paolo II conclude sottolineando che “la voce concorde dei Vescovi di un determinato territorio, quando, in comunione col Romano Pontefice, proclamano congiuntamente la verità cattolica in materia di fede e di morale, può giungere al loro popolo con maggiore efficacia e rendere più agevole l'adesione dei loro fedeli col religioso ossequio dello spirito a tale magistero. Esercitando fedelmente la loro funzione dottrinale, i Vescovi servono la parola di Dio, alla quale è sottomesso il loro insegnamento, la ascoltano piamente, santamente la custodiscono e fedelmente la espongono in modo che i loro fedeli la ricevano nel miglior modo possibile. E poiché la dottrina della fede è un bene comune di tutta la Chiesa e vincolo della sua comunione, i Vescovi, riuniti nella Conferenza Episcopale, curano soprattutto di seguire il magistero della Chiesa universale e di farlo opportunamente giungere al popolo loro affidato”.

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