Washington , sabato, 27. giugno, 2015 17:05 (ACI Stampa).
La Casa Bianca colore arcobaleno. L’esultanza di Obama. E le parole, ferme e decise, dell’Arcivescovo Joseph E. Kurtz, di Louisville, presidente della Conferenza Episcopale USA: “Nonostante ciò che una minuscola maggioranza della Corte Suprema americana possa dichiarare in questo momento della storia, la natura della persona umana e del matrimonio rimane intatta e intangibile.” I vescovi USA si preparano così alla battaglia culturale, dopo aver perso la battaglia giuridica: con 5 voti a 4, la Corte Suprema USA ha stabilito il 26 giugno il diritto costituzionale al matrimonio omosessuale.
La sentenza si basa sul XIV emendamento della Costituzione USA, che sottolinea come nessuno Stato “farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti”, né “potrà privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge…né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi”.
Il matrimonio omosessuale è legale in 37 Stati (più il District of Columbia, il distretto della capitale Washington), ma non è concesso in 13. Adesso, secondo la sentenza della Corte Suprema USA, il sistema legale attualmente in auge nei 13 Stati che ancora non riconoscono i matrimoni dello stesso sesso sarebbe “incostituzionale” e le leggi in esso contenute “restrittive.”
Sono stati mesi di dibattito alla Corte Suprema, che fino a oggi aveva evitato di pronunciarsi sul diritto dei singoli Stati di vietare le nozze tra omosessuali, anche al momento di riconoscerle a livello federale, nel 2013.
in questa discussione, i media hanno fatto la loro parte. Alla Corte Suprema USA sono arrivati anche gli “amicus brief” (relazioni di soggetti che non sono parte del processo, ma offrono informazioni sul processo) delle multinazionali, che volevano dimostrare come non approvare il matrimonio omosessuale fosse contro l’economia. Il peso dei media ha avuto la sua parte in una decisione presa con una maggioranza risicatissima.