I paragrafi 52, 53 e 55 sono stati dunque reintrodotti nell’Instrumentum Laboris, come paragrafi 122, 124 e 130. Nessuno dei tre aveva ricevuto la maggioranza dei due terzi.
“Si è riflettuto- si legge nel paragrafo 52 (ora 122), che trovava i padri in disaccordo- sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735).”
E ancora, al paragrafo 53 (ora 124) si legge: “Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio.” Viene da chiedersi in effetti se questi padri abbiano mai frequentato il catechismo.
Infine il paragrafo 55 (ora 130) parla delle famiglie che “vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).” Quest’ultimo paragrafo era quello che aveva ricevuto meno consenso, perché i padri sinodali (anche i più aperturisti) lo avevano considerato vago.
Perché la reintroduzione di questi paragrafi?
C’è da dire che anche il paragrafo 2, sulle fonti della Sacra Scrittura, quello che ha riscosso maggiore consenso sinodale, come altri con maggior consenso, è nel testo. Ma questo non spiega l'ingresso dalla finestra dei paragrafi oggetto di disaccordo. Perché questi paragrafi sono stati reintrodotti così come sono? Quale il metodo di lavoro portato avanti dalla Segreteria del Sinodo?
La risposta a queste domande dirà sicuramente molto di come si svilupperà la discussione al prossimo sinodo dei vescovi. C’è stato già un sinodo dei media e un sinodo reale, e ci sarà ancora. Da una parte, quanti premono per dei sostanziali cambiamenti dottrinali, con il favore dei media. Dall’altra, il vero dibattito sinodale, che ha visto la maggioranza dei vescovi su posizioni pastorali anche avanzati, ma sempre in linea con la tradizione della Chiesa. Questo dibattito dovrebbe ripresentarsi anche al prossimo Sinodo sulla famiglia, a meno che il Papa, con le sue nomine particolari, non vada pesantemente a sbilanciarsi a favore di una fazione.
La composizione del Sinodo fino ad ora
Dando uno sguardo generale alla composizione del sinodo fino ad ora, si può notare che la maggioranza dei padri sinodali eletti sono a favore di mantenere la tradizione della Chiesa, seppur con sfumature diverse. Non si possono certo ascrivere ai “novatori” i quattro delegati italiani: il Cardinal Angelo Bagnasco, il Cardinal Angelo Scola, i vescovi Carlo Giulio Brambilla ed Enrico Solmi. Ma, anche nella Conferenza Episcopale Italiana, il dibattito è stato vivo. Il Cardinal Bagnasco è dovuto addirittura arrivare al ballottaggio, mentre la scelta dei due vescovi è stata fatta anche sulla base di una certa moderazione sui temi.
I vescovi polacchi sono i più battaglieri. Hanno difeso la tradizione al Sinodo del 2014, lo faranno in quello che viene. Il vescovo di Varsavia Henryk Hoser ha denunciato con forza il “tradimento” degli insegnamenti di San Giovanni Paolo II su famiglia e matrimonio, e lo farà ancora durante questo sinodo. E parole altrettanto forti ha pronunciato l’arcivescovo Stanislaw Gadecki, presidente della Conferenza Episcopale Polacca, che già allo scorso sinodo si rese protagonista di critiche fortissime all’andamento del dibattito. Saranno entrambi a questo sinodo dei vescovi.
Più difficile la situazione belga. Nel 2014, presidente della Conferenza Episcopale era André-Joseph Leonard, arcivescovo di Bruxelles, un uomo mite, scelto da Benedetto XVI, che ha provato a dare al Belgio quella svolta pastorale di cui la nazione scossa da tanti secolarismi ha bisogno. Ma l’arcivescovo Leonard ha appena dato le dimissioni per raggiunti limiti di età (ha compiuto 75 anni), ancora non si conosce il nome del successore e nel frattempo la Conferenza Episcopale Belga si è portata avanti nominando il proprio delegato al Sinodo.: si tratta di Joan Bonny, di Anversa, che ha chiesto in passato la piena approvazione della Chiesa sulla relazionalità tra omosessuali. Le sue parole sono molto diffuse, quasi quanto quelle dei vescovi tedeschi, che con forza si battono per “una Chiesa che non esclude.”
I quattro delegati dalla Germania sono tutti su queste posizioni, anche perché sono tutti sotto l’ombrello del Cardinal Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca e tra i maggiori supporter delle innovazioni. Quando fu chiaro che il dibattito del sinodo 2014 stava andando in un’altra direzione, venne personalmente in Sala Stampa Vaticana a difendere la posizione aperturista. Ed è stato lui a chiudere la riunione all’Università Gregoriana in cui le conferenze episcopali di Germania, Francia e Svizzera hanno discusso del dibattito al sinodo, in maniera riservatissima se non per i pochi giornalisti invitati, non autorizzati però a dire chi aveva detto cosa. I delegati tedeschi sono: Heiner Koch, che è stato di recente nominato arcivescovo di Berlino; Herman Bode, di Osnabrueck; e ovviamente il Cardinal Marx.
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All’incontro alla Gregoriana aveva partecipato anche Jean Luc Brunin, il vescovo di Le Havre, considerato in patria pro nozze gay. Sarà delegato francese al Sinodo. Ma la Francia è bilanciata: l’altro delegato è il Cardinal André Vingt Trois, arcivescovo di Parigi, che di certo sta con la tradizione.
Poi c’è Malta, da cui proviene Mario Grech, vescovo di Gozo, più morbido del vescovo Bonny, ma anche aperto ad approfondire la prassi ortodossa per divorziati e risposati, in questo modo aprendo una strada a una possibile rottura con la tradizione.
Capitolo Spagna. Ci sarà il Cardinal Ricardo Blazquez Perez, arcivescovo di Valladolid, che ha preso il maggior numero di voti in conferenza episcopale. Non è un progressista, supporta il Cammino Neocatecumenale, il movimento cattolico che più di tutti supporta la famiglia tradizionale (e lo testimonia la grande mobilitazione in piazza San Giovanni a Roma lo scorso 20 giugno).
Altro delegato al sinodo è l’arcivescovo di Madrid, Carlos Osoro Sierra, che è soprannominato il “piccolo Francesco” per atteggiamenti e attenzione ai poveri, ma che in realtà non è un progressista.
Sta con la tradizione anche il Cardinal Willelm Jacobus Ejik, arcivescovo di Utrecht e rappresentante dell’Olanda al Sinodo. Un medico nella sua “vita precedente”, Eijk parla di questi temi dagli anni Ottanta, sviluppando posizioni innovative e importanti anche su temi sensibili come eutanasia e aborto.
E poi si scopre che anche le conferenze episcopali che sembrano più progressiste in realtà vogliono mantenere l’insegnamento tradizionale della Chiesa. Un esempio è la Nuova Zelanda. Lì i laici hanno assunto un ruolo preponderante, i sacerdoti sono considerati una sorta di “ufficiali pastorali,” e il neo cardinale John Atcherley Dew, arcivescvovo di Wellington, è tra quanti hanno supportato una “rivoluzione” e che al sinodo del 2014 ha appoggiato le tesi progressiste. Ma non sarà al Sinodo del 2015, perché non ha ottenuto la maggioranza dei voti della sua conferenza episcopale.