Del resto, don Divo, nato a Palaia, vicino a Pisa, nel 1914 e morto a Firenze nel 2006, una delle figure più luminose della Chiesa del Novecento, ha scritto più di 150 opere, dalle quali traspare una passione autentica per la poesia e la letteratura, e fra i molteplici aspetti della sua attività vi è la sua non comune vicinanza alla sensibilità del cristianesimo orientale. Ha avuto il merito di aver fatto conoscere in Italia figure di santi russi quali Sergio di Radonez, Serafino di Sarov, Silvano di Monte Athos, con il suo lavoro "Cristianesimo russo".
Ora le edizioni San Paolo hanno ripubblicato il suo appassionante libro "Dostoevskij. La passione per Cristo", (pp.264, euro 18) con una preziosa introduzione di Sergio Givone.
In queste ultime settimane si è parlato molto di chiese d'Oriente, grazie al viaggio incontro di papa Francesco a Bari incentrato proprio sul dialogo ecumenico e sulla necessità di sostenere attivamente queste chiese che, in grande numero, soffrono a causa di persecuzioni, guerre, violenze. L'opera e la vita stessa di Divo Barsotti sono percorse dalla ricerca di un'unità spirituale tra le chiese d'oriente e quella di Roma, dunque più che mai ora la sua presenza e il suo pensiero si rivelano attuali, anzi, "strategici".
Un'altra lettura aiuta ad avere un'idea di quanto sia stato essenziale il rapporto di don Divo con la Russia. Il libro si intitola "Nella santa Russia. Diario di un viaggio", ed è stato ripubblicato dalle Edizioni Parva giusto un anno fa ed è il diario, appunto, del viaggio tanto agognato dal religioso in terra russa e finalmente realizzato nel 1996. Pagine intense, toccanti. Che mostrano appunto che cosa abbia significato il legame con la spiritualità di questa terra e in cosa si sia trasformata nella esperienza monastica di don Divo e dei suoi numerosi "figli", monaci, laici consacrati, nel solco della grande tradizione monastica che, nella sua radice, non ha differenze tra Oriente e Occidente.
La Premessa del volume si apre con questa frase:" Il mio rapporto con la Russia è cominciato al momento della mia conversione". E, più avanti, spiega con chiarezza che, pur essendo stato educato nella fede cristiana da genitori amorevoli, e avendo deciso di percorrere la strada del sacerdozio, la sua era "una vita religiosa era piuttosto formale". Quando divenne profonda, completa, totalizzante? "Il mio rapporto con la Russia nacque dunque con questo mio risveglio di fede. Chi provocò questo risveglio fu la lettura di Dostoevskij", perché "Dio si servì anche di lui per entrare nella mia vita".
Dunque il viaggio di quindici giorni nel luglio 1996 fu l'atteso suggello di un rapporto lungo quanto la vita stessa. Il diario racconta l'emozione di vedere alcuni luoghi e di incontrare le persone, constatando anche le difficoltà del dialogo a livello ufficiale, ma sperimentando la vicinanza con la gente più semplice, pronta ad aprire la "porta" del proprio cuore, nella gioiosa constatazione che era reale quella sintonia e affinità interiore che avevano caratterizzato la sua vita di studioso e soprattutto di mistico."Il popolo non fa differenza tra il sacerdote ortodosso e il sacerdote cattolico", scrive dopo la visita a Vladimir. E dopo l'incontro con un monaco nel monastero del Don, ecco cosa gli sgorga dal cuore: l'incontro commovente con quel giovane monaco gli fa sentire "che in noi e in loro vive il medesimo Spirito e tutti, noi e loro, preghiamo e attendiamo l'unità".
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Al monastero di Nevskij a San Pietroburgo, don Divo fa un altro incontro emozionante, quello con la tomba di Dostoevskij e si chiede:" E' stata la Provvidenza che ha voluto che mi incontrassi con Dostoevskij fin dall'inizio del mio viaggio? Sono rimasto davanti alla tomba per qualche minuto, in silenzioso raccoglimento. Era stupore per l'incontro improvviso? Era preghiera? Non so." Davanti a quella lastra di marmo nero con il bassorilievo della figura dello scrittore don Divo percepisce con forza che egli non è morto, "e' ben vivo: le sue opere sono la testimonianza di uno che ancora opera nel cuore degli uomini". E se ne va , con l'idea chiara che Dostoevskij non era sotto quella lastra di marmo.
Don Divo Barsotti: