Advertisement

Diplomazia Pontificia, dai Balcani alla Corea del Sud passando per l'Ucraina

Cardinale Pietro Parolin e Dacic | Il cardinale Pietro Parolin saluta il ministro degli Esteri serbo Ivica Dacic  | Nunziatura Cardinale Pietro Parolin e Dacic | Il cardinale Pietro Parolin saluta il ministro degli Esteri serbo Ivica Dacic | Nunziatura

Il Cardinale Pietro Parolin, tornato dalla missione nei Balcani, ha incontrato il 3 luglio l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk, che ha poi incontrato Papa Francesco. Il 2 luglio, è stato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano, ad incontrare il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, prima di partire per la Corea. La diplomazia pontificia si snoda così questa settimana tra Balcani, Corea del Sud ed Ucraina.

Il viaggio del Cardinale Pietro Parolin in Serbia

Per la prima volta, il Segretario di Stato vaticano è stato in visita in Serbia. Tra gli incontri più importanti, quello con il Patriarca Irenej, capo della Chiesa Ortodossa Serbia. Tra i temi del colloquio, la questione del Kosovo: il Patriarca Ireneo ha lodato la posizione della Santa Sede, che ha deciso di non riconoscere unilateralmente Pristina come Stato e di svilupare una diplomazia del dialogo. .

La Santa Sede ancora non ha riconosciuto il Kosovo, ma in questi ultimi mesi ci sono state almeno due visite in Vaticano da parte di ministri di Pristina. Erano presenti all’incontro anche l’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio apostolico in Serbia; il metropolita Porphirije di Zagabria-Lubiana; il vescovo Irenej di Backa; i monsignori Giovanni Gaspiri e Filipo Kolnago, della Segreteria di Stato e della Nunziatura.

L’incontro del Segretario di Stato vaticano con il Patriarca Irenej è avvenuto lo scorso 30 giugno. Nello stesso giorno, il Cardinale Parolin ha incontrato il presidente Serbo Alexander Vucic e il ministro degli Esteri Ivica Dacic, che recentemente è stato in visita in Vaticano. Anche in quel caso è stata apprezzata la posizione della Santa Sede sul Kosovo. Da parte sua, il Cardinale Parolin ha auspicato che, attraverso il dialogo tra Belgrado e Pristina, si giunga ad una reale soluzione di compromesso per il Kosovo, con la tutela della pace e della stabilità, e Vucic ha sottolineato che la Serbia è in cerca di un compromesso.

Advertisement

L’1 luglio, il Segretario di Stato vaticano ha celebrato la Messa a Novi Sad, nella Chiesa del Nome di Maria. Il Cardinale Parolin era a Novi Sad anche per inaugurare la nuova sede della Conferenza Episcopale dei Santi Cirillo e Metodio, che riunisce vescovi di Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo.

Dopo la visita di due giorni, in cui sono stati rafforzati i rapporti bilaterali tra Serbia e Santa Sede, il Patriarca Irenej ha detto in una intervista al quotidiano di Belgrado Blic che non è ancora il momento per una visita di Papa Francesco in Serbia, e che il tema non è stato nemmeno toccato nell’incontro con il Cardinale Parolin.

Già in passato, il Patriarca Irenej aveva espresso dubbi su una possibile visita del Papa, sottolineando che una parte della popolazione sarebbe contraria “ a causa di tutto quello successo in passato”, un riferimento nemmeno troppo velato ai contrasti con la vicina Croazia, cattolica, in particolare sulla figura del Beato Alojzie Stepinac. Controversia, quest’ultima, che Papa Francesco ha cercato di dirimere istitutendo una commissione mista Cattolico-Ortodossa che non ha portato a conclusione.

Dalla Serbia, lo stesso Cardinale Parolin aveva sottolineato che “una visita di Papa Francesco in Serbia potrà avvenire quando ci saranno le condizioni e quando tutti saranno d’accordo”.

L’arcivescovo Gallagher in Corea del Sud

Lo scorso 26 gennaio, il ministro degli Esteri della Corea del Sud Kang Kyu-wha aveva incontrato l’arcivescovo Gallagher in Vaticano. In quell’occasione, era stato esteso il caldo invito al presule di recarsi nel Paese, dove tra l’altro in questi giorni si stanno festeggiando i 55 anni di rapporti diplomatici tra Santa Sede e Seoul.

More in Mondo

L’arcivescovo Gallagher è arrivato in Corea del Sud il 4 luglio, e vi permarrà fino al 9 luglio. Molti incontri in programma: dalla visita di cortesia al presidente della Repubblica Moon Jae-in lo scorso 4 luglio alla visita alla zona demilitarizzata che separa il Paese dalla Corea del Nord, dove l’arcivescovo Gallagher ha ispezionato il sito di una cattedrale cattolica, JSA Church, nella zona di sicurezza comune, che dovrebbe essere terminata il prossimo marzo.

Parlando lo scorso 6 luglio, l’arcivescovo Gallagher ha descritto la diplomazia per promuovere pace nella penisola europea, come “molto pertinente”, e ha detto che il Papa continuerà a supportare questi sforzi”.

Si è poi riferito alla sua visita a Panmujorn, il sito che è stato teatro del primo storico incontro tra i presidenti di Corea del Nord e di Corea del Sud, dove è stato giovedì 5 luglio. Visita durante la quale si è espresso con ottimismo per la diplomazia in corso con il Nord, e ha sottolineato che si tratta “di un periodo molto storico, un periodo di speranza”, e che, nonostante ci saranno senz’altro sfide e difficoltà, “la determinazione che il popolo coreano ha sempre mostrato” porteranno a molti buoni risultati”.

L’arcivescovo Gallagher si è incontrato il 6 luglio con una quarantina di deputati cattolici, mentre il 7 luglio terrà un discorso al Forum Cattolico sulla pace e i diritti umani e domenica presiederà l’Eucarestia nella Cattedrale di Myengdong a Seoul.

La questione ucraina discussa anche in Segreteria di Stato

L’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, si è incontrato con Papa Francesco lo scorso 3 luglio. Nel suo breve soggiorno, ha potuto anche incontrare l’arcivescovo Gallagher e il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

Tra i temi del colloquio “diplomatico”, la situazione del “conflitto dimenticato” in Ucraina, ma anche il “tomos” di autocefalia richiesta da due confessioni ortodosse al Patriarcato di Costantinopoli: l’arcivescovo maggiore ha ribadito la posizione di “non interferenza” della Chiesa Greco Cattolica sul tema, sottolineando ancora una volta come lo Stato non possa interpretare una Chiesa come “Chiesa di Stato”. Si è parlato anche del ruolo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina nello sviluppo della società ucraina. Il Cardinale Parolin, da parte sua, ha espresso il suo appoggio alla Chiesa Greco Cattolica Ucraina e ha ringraziato per la sua testimonianza di unità a fianco alla sede di Pietro.

Nunzi apostolici, due nuovi incarichi

L’arcivescovo Michael A. Blume è stato nominato nunzio apostolico in Ungheria. Era dal 2013 nunzio apostolico in Uganda. Veniva dall’esperienza come nunzio in Benin e Togo, dove era statonominato nel 2005.

Viene invece rafforzata la nunziatura apostolica nella Repubblica Democratica del Congo, dove la Chiesa cattolica è garante dell’accordo di San Silvestro. Secondo l’accordo, si dovrebbero indire elezioni per febbraio, e l’attuale presidente Joseph Kabila non potrebbe ricandidarsi.

 

L’amministrazione Kabila aveva dichiarato il nunzio Mariano Montemayor persona non gradita, e per questo motivo questi era stato richiamato a Roma da Kinshasa lo scorso marzo. L’arcivescovo Montemayor aveva avuto parole molto critiche contro il governo, e, insieme alla Conferenza Episcopale del Congo, aveva sostenuto le marce di cattolici di inizio gennaio 2018 che protestavano contro la mancata applicazione degli accordi di San Silvestro.

Advertisement

Ora, per rafforzare la nunziatura, viene chiamato dalla Colombia l’arcivescovo Ettore Balestrero. Nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, diffuso il 6 luglio, si legge che il Papa ha disposto di inviare l’arcivescovo Balestrero “nella Repubblica Democratica del Congo, per il disbrigo degli affari ordinari della nunziatura apostolica a Kinshasa”.

L’arcivescovo Balestrero, nunzio apostolico in Colombia dal 2013, è chiamato ora al difficile compito di portare avanti il dialogo con il governo Kabila per portare a termine una vera transizione democratica.

Un nuovo ambasciatore iraniano presso la Santa Sede

Sayyed Taha Hashemi è il nuovo ambasciatore della Repubblica Iraniana presso la Santa Sede. Si tratta di una figura intellettuale e culturale di grande prestigio nel suo Paese, e in particolare nell’Islam sciita. Tra i suoi incarichi precedenti, quelli di

membro dell'Assemblea Consultiva Islamica e dell'Islamic Azad University. Hashemi succede nell'incarico al Mohammad Taher Rabbani, rappresentante in Vaticano dal giugno 2013. Molti i punti di contatto tra Santa Sede e Iran, in particolare sul tema del disarmo nucleare: la Santa Sede ha appoggiato l’accordo sul nucleare iraniano.

Sudafrica, celebrata la giornata del Papa

Si chiama “Il giorno del Papa” ed è una celebrazione reintrodotta in Sudafrica dall’arcivescovo Peter Wells, nunzio presso il Sudafrica e Botswana, Lesotho, Swaziland e Namidia. La giornata si celebra in prossimità della festa dei Santi Pietro e Paolo, e consiste in un ricevimento in nunziatura, che quest’anno ha avuto circa 200 ospiti, che ha avuto luogo dopo la messa celebrata dall’arcivescovo di Pretoria William Slattery.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Wells ha detto che il Sudafrica celebra quest’anno il centesimo anniversario delle nascite di Nelson Mandela e Albertina Sisuslu, e assicurato al popolo del Sudafrica che la Santa Sede è lì per assicurare che tutti abbiano una voce, specialmente i deboli e marginalizzati.

L’arcivescovo Wells ha anche sottolineato che il recente stabilimento di un ambasciatore residente del Sudafrica presso la Santa Sede è segno della forte relazione tra il Vaticano e la nazione. Tra le aree di cooperazione bilaterale, le questioni umanitarie, con particolare attenzione al traffico di esseri umani, all’ambiente, alla povertà estrema e ai diritti di uomini e bambini, ma anche HIV e immigrazione.

Il Papa ha incontrato il leader dell’Unione Sionista

Lo scorso 3 luglio, il leader dell’Unione Sionista Avi Gabbay ha incontrato Papa Francesco in Vaticano, portandogli lettere dei famigliari di israeliani imprigionati dal gruppo terroristico di Hamas a Gaza, e chiedendo il suo supporto per riportarli a casa.

Il Papa e Gabbay hanno discusso della situazione in Medio Oriente, e di come portare avanti la regione. Gabbay ha detto al Papa che c’è bisogno di leader forti, e ha consegnato al Papa lettere delle famiglie di Haldar Goldin e Oron Shaul, i cui resti sono tenuti da Hamas a Gaza dall’estate del 2014, e dalla famiglia di Avera Avraham Mengistu, una civile che è tenuta in custodia dal gruppo.

 

Secondo un comunicato diffuso da Gabbay, la Santa Sede farà tutto ciò in suo potere diplomatico per auutare le famiglie. Gabbay era accompagnato dal giornalista Henrique Cymerman, molto vicino al Papa. Cynerman fu coinvolto nell’organizzazione della visita di Papa Francesco in Terrasanta nel 2014, e aiutò anche ad organizzare l’incontro di preghiera nei Giardini Vaticani nel giugno 2015, con l’allora presidente israeliano Shimon Peres e il presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Per Papa Francesco, due lettere dall’ambasciata di Palestina presso la Santa Sede

Due lettere sono state recapitate a Papa Francesco dall’Ambasciata di Palestina presso la Santa Sede alla vigilia dell’incontro ecumenico di preghiera per la pace in Medio Oriente di Bari.

Una è di Hanna Hamira, presidente dell’Alto Comitato Presidenziale per gli Affari delle Chiese di Palestina, in cui si sottolinea la speranza che l’incontro di Bari “apra una finestra per la presenza dei cristiani in Terrasanta (specialmente nella Città Santa), dove la politica dell’occupazione israeliana minaccia sempre la popolazione cristiana da 2000 anni”, e viene espresso l’auspicio che il prossimo incontro ecumenico di preghiera per la pace abbia luogo a Gerusalemme.

L’altra lettera arriva dalla Coalizione Nazionale delle Organizzazioni Cristiane di Paelstina, che chiede di benedire l’incontro di Bari e allo stesso tempo denuncia la situazione dei cristiani in Palestina, che da 100 anni (dalla dichiarazione Balfour) soffre ancora una situazione difficle, con rifugiati “che vivono in campi o sono sparsi nel mondo”.

Tra i vari temi critici, quelli che sono definiti “i recenti attacchi alle chiese di Gerusalemme”, anche attraverso la tassazione. Il regime di tasse imposto da Gerusalemme portò alla chiusura del Santo Sepolcro, e l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore Apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, ha recentemente sottolineato che le Chiese vogliono risolvere la questione delle tasse con un accordo, e non unilateralmente.

La lettera termina con un appello a tutti i partecipanti all’incontro di Bari, di cui viene riconosciuta “la voce profetica”.

A Ginevra si negozia l’accordo globale sui rifugiati

Questa settimana, ci sono stati due interventi della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra nell’ambito dei negoziati per il Global Compact sui Rifugiati.

Il 3 luglio, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, è intervenuto nel dibattito sulla “Cornice di Risposta Globale ai Rifugiati”, nelle parti 1 e 2. Si tratta del sesto e ultimo round di consultazioni formali.

L’arcivescovo ha notato che l’accordo globale non intende essere uno strumento legalmente vincolante, ma contiene comunque impegni orientati all’azione e accordi organizzativi che possono essere considerati come “moralmente vincolanti per l’intera comunità internazionale”.

La Santa Sede ha reiterato le sue richieste: che l’accordo sia centrato sulla persona umana, e che tutti gli aspetti del programma di azione siano basati sul rispetto della dignità di ciascuna persona umana; che l’accordo si riferisce a principi di umanità e solidarietà internazionale e sottolinea di non essere politicizzato, ma che allo stesso tempo l’esistenza di un sistema di protezione legale per i rifugiati è un patrimonio comune che impegna la famiglia umana; che funziona il riconoscimento che i movimenti di popoli possono essere causati da un numero di fattori, non ultimo quello ambientale; che sarebbe meglio riferirsi a “diversi bisogni” per assicurare una migliore protezione dei rifugiati, e non a considerazioni astratte di “diversità”.

Infine, l’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato ancora una volta che le comunità religiose possono essere d’aiuto, grazie alla loro presenza sul territorio.

Il 4 luglio, si è discussa la terza parte del testo, e la delegazione della Santa Sede ha reiterato ancora una volta sulla necessità di mantenere un approccio olistico e integrato basato sulla centralità della persona umana.

Tra le note positive, il riferimento al supporto per lo sviluppo di alternative alla detenzione, perché la detenzione “non può mai essere nel migliore interesse del bambino” – e il riferimento è ai bambini migranti che vengono detenuti in casi di immigrazione illegale.

L’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato che la Santa Sede conosce i rischi che vivono donne e bambini nelle emergenze umanitarie, e che, per avere un impatto forte, è importante che il Global Compact mantenga una natura non politicizzata. In più, si lamenta del fatto che tra gli stakeholders si notano solo alcune agenzie intergovernative e vengono lasciati fuori altri attori rilevanti.

La Santa Sede ha criticato anche il paragrafo dell’assistenza sanitaria, che include priorità per il cosiddetto “pacchetto di servizio minimo iniziale” che “non è stato negoziato dagli Stati e non è basato sulla legge internazionale dei rifugiati”, e ha ribadito che è necessario assicurare che le esigenze sanitarie delle persone sfollate “vadano considerate nel più ampio contesto delle politiche dei governi”.

Sono molti i dettagli tecnici da modificare, secondo la Santa Sede, mentre viene approvata l’enfasi su iniziative come i corridoi umanitari come vie complementari per l’ammissione a Paesi terzi.

Laudato Si, tre anni dopo

I tre anni della pubblicazione dell’enciclica Laudato Si sono stati celebrati dal Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale con una conferenza di due giorni, che ha incluso un intervento di Papa Francesco. Durante la conferenza, ha preso la parola anche monsignor Antoine Cammilleri, “viceministro degli Esteri” della Santa Sede, per illustrare gli sforzi diplomatici della Santa Sede nei negoziati sul clima, ma soprattutto il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

Nel suo intervento, pronunciato lo scorso 5 luglio, il Segretario di Stato ha detto che è necessario stimolare la messa in pratica dell’impegno che la comunità internazionale ha preso per il clima dopo gli accordi di Parigi del 2015, cui lo stesso Segretario di Stato prese parte come capo delegazione della Santa Sede.

Per il Segretario di Stato vaticano, la Laudato Si ha rappresentato lo strumento attraverso il quale il Papa e la Santa Sede hanno lavorato in favore del clima, e sin dall’inizio “l’enciclica è stata ben accolta come un potente contributo per capire meglio e affrontare in modo più efficace una serie di questioni, anche critiche, che stanno sfidando l’umanità, sulla base dell’approccio più ampio e più profondo di ecologia integrale”.

Il Cardinale Parolin ha detto che la Laudato Si si sviluppa in tre temi: la precarietà del nostro pianeta oggi, l’inseparabilità tra ecologia umana e quella naturale” e la “dimensione di profondità” aggiunta dalla Laudato Si al discorso ecologico.

“La dottrina cattolica della creazione – ha sottolineato il Cardinale Parolin – non considera il mondo un incidente. Il nostro pianeta, anzi l’universo, è un atto intenzionale offerto da Dio agli esseri umani come un dono. La creazione è il primo passo nella grande vocazione dell’uomo: creazione, incarnazione, redenzione”.

 

Insomma, “l’umanità non è un retropensiero. Dio non aveva due ordini del giorno: prima il mondo e poi l’umanità. L’uomo e la donna sono fatti a immagine e somiglianza di Dio, sono parte intrinseca dell’universo, e la loro vocazione è ‘coltivare e mantenere’ tutto. Ma coltivare e mantenere non dovrebbe includere il dominio e la devastazione. Un tale comportamento prende in giro la dignità e il rispetto dovuto ai doni di Dio”.