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Oriente cattolico, i monaci fuggono dall'iconoclastia e si rifugiano a Roma

Una immagine di San Cesareo al Palatino di Giuseppe Vasi |  | pd Una immagine di San Cesareo al Palatino di Giuseppe Vasi | | pd

Roma è la porta d’ Oriente. Sembra strano ma a ben studiare la cultura della città caput mundi si trova in certi secoli più greco che latino. Nel primo millennio cristiano poi Roma accolse molti monaci d’ Oriente.

Lo ricorda molto bene un intero capitolo di Oriente cattolico, il lavoro di presentazione e ricerca della Congregazione per le Chiese Orientali appena pubblicato.

E sono soprattutto i monaci a scegliere Roma per i loro insediamenti tanto da far scrivere San Gerolamo: “ Roma è diventata una seconda Gerusalemme”.

Tra i cenobi più famosi c’è quello di San Cesareo al Palatino. Vi trovò ospitalità Basilio verso la metà dell’ 800e nel 990 quando morì San Saba il giovane e il rito era greco.

Creato sulle fondazioni del Palazzo imperiale, a fianco alla diaconia di Santa Maria Antiqua, aveva vicino ai pedi del colle una colonia greca e fu attivo fino al Rinascimento.

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Il più importante monastero orientale a Roma è quello di San Saba, che a lungo fu legata al monastero degli Studiti a Costantinopoli. Un Egumeno era al Concilio Laterano, un altro fu legato pontificio a Nicea per confutare gli iconoclasti.

Così San Bonifacio ed Alessio, così San Gregorio al Celio. Originale la storia di Santa Maria in Campo Marzio, dono di Papa Leone III dedicato inizialmente a San Gregorio di Nazianzo.

Una leggenda racconta che le monache di Sant’ Anastasia a Costantinopoli  fuggite dalla furia iconoclasta furono accolte a Roma nel 750 dal Papa e portarono le reliquie e una icona della Madonna dipinta da San Luca con il corpo di Gregorio.

Un Papa con lo stesso nome del santo, Gregorio XIII trasferì il corpo a San Pietro, e nel 2004 Giovanni Paolo II donò al Patriarca di Costantinopoli una cospicua parte di quelle reliquie.

Altri sono i monasteri famosi a Roma e dintorni come quello di Grottaferrata, ancora oggi di rito greco “gemma d’ Oriente nel regno Pontificio”.  La biblioteca è ricca di codici greci miniati e nel museo si può ammirare il calice del Cardinale Bessarione e un pallio episcopale bizantino. Bessarione è sepolto nella Basilica dei Santi Apostoli della quale era titolare.

Tra i monasteri orientali di Roma San Silvestro in Capite, fondato nel 761 per salvare le reliquie dal saccheggio dei longobardi. Papa Paolo I usò la sua casa paterna per fondare il monastero che nell’ XI secolo passò al rito latino.

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Di San Gregorio al Celio c’è da ricordare chili cenobio che accolse i greci in fuga dalla furia iconoclasta divenne definitivamente benedettino nel X secolo.

San Bonifacio e Alessio raccontano invece di un vero recupero di una chiesa in abbandono alla fine del 900 e di Sergio, metropolita di Damasco che arrivò a Roma e chiese al Papa di potervi stabile un monastero. Tanto famoso che vi fu ospite anche Adalberto da Praga, e che avrebbe ospitato contemporaneamente greci e latini. I benedettini arrivarono verso il XII secolo. Il II millennio ha caratteristiche molto differenti.

Tra gli eventi significativi del Rinascimento romano c’è l’ arrivo l’ 11 aprile del 1462 della reliquia del capo di Sant’ Andrea Apostolo che era custodito a Patrasso e che Papa Piccolomini volle nell’ Urbe.

Il Papa fece costruire un tempietto nei pressi di Ponte Milvio, che ancora si può ammirare, in ricordo dell’evento, e portò la reliquia a San Pietro. Fu Paolo VI nel 1964 a riconsegnare la reliquia alla Chiesa ortodossa di Grecia.

In questo periodo solo Sant’ Anastasio dei Greci fu espressamente costruita per la comunità orientale fino al XX secolo.

Ma Urbano VIII concesse San Sergio e Bacco ai Basiliani ruteni, e Clemente XII diede la basilica di Santa Maria in Domnica al Celio ai Basiliani melechiti e Gregorio XVI affidò San Biagio agli Armeni.

Arrivando a tempi più moderni Pio IX che considerava l’arte orientale “ cresciuta con il cristianesimo e concresciuta con la civiltà dei Popoli orientali” chiamò a Roma un noto pittore di Icone: Pimen Maximovič Sofronov che dipinse le icone della Cappella della Congregazione delle Chiese Orientali.