Ginevra , venerdì, 26. giugno, 2015 9:45 (ACI Stampa).
Le condizioni di così tanti esiliati genera “compassione e indignazione,” ma la comunità internazionale deve andare oltre i sentimenti, applicare una rete di solidarietà, studiare nuove soluzioni per l’accoglienza dei rifugiati. L’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, nunzio permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra, lo sottolinea nell’intervento del 24 giugno alla 63esima riunione del Comitato per l’Alto Commissario ONU per i rifugiati.
Il concetto chiave è quello del “dovere di proteggere,” la linea diplomatica elaborata dalla Segreteria di Stato vaticana che si è esplicitata in una serie di discorsi del Cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato, durante la sua visita al quartier generale delle Nazioni Unite a New York, nel settembre del 2014. Il dovere di proteggere si applica all’ambiente, ai cristiani perseguitati, e anche ai rifugiati.
Il cui numero è drammaticamente cresciuto. L’arcivescovo Tomasi cita i dati dell’Alto Commissario ONU per i rifugiati (UNHCR): nel 2014, 42,500 persone in media ogni giorno diventano rifugiati, richiedenti asilo o sfollati, mentre più di 60 milioni di persone, per una varietà di ragioni, sono costretti a lasciare le loro case, “il più alto numero dalla Seconda Guerra Mondiale,” lamenta l’Arcivescovo Tomasi.
Certo, la situazione genera “compassione e indignazione,” ma la comunità internazionale “deve andare oltre le emozioni e tradurre il suo dovere di proteggere in azione. Questa è la vera prova di solidarietà,” afferma l’Osservatore.
Il quale poi delinea in percorso in più passaggi. Il primo, “una attitudine ad accettare (i rifugiati) che deve partire dagli stessi confini,” perché “in questo periodo di circostanze sconcertanti, siamo chiamati a una solidarietà straordinaria, e in particolare a politiche di insediamento generose e un maggiore impegno alla condivisione di responsabilità.” In più, ci sono richiedenti asilo che “non sono protetti da strumenti giuridici esistenti.”