Città del Vaticano , mercoledì, 24. giugno, 2015 15:01 (ACI Stampa).
«Trasformare una casa comune in famiglia attraverso il dialogo». Ecco la “sfida” in Terra Santa secondo monsignor Giuseppe Lazzarotto, nunzio in Israele e delegato apostolico per la Palestina. In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, il rappresentante pontificio ha commentato il recente incendio alla Chiesa «della moltiplicazione dei Pani e dei Pesci» sul lago di Tiberiade, uno dei simboli cristiani in Terra Santa. «Sono atti che ci amareggiano profondamente perché, pur non essendo condivisi dalla maggioranza della popolazione, esprimono un atteggiamento di chiusura, il rifiuto ad accettare la presenza di chi è diverso».
La comunità cristiana, nota il presule, non si lascia tuttavia scoraggiare da quanto accaduto, continuando a percorrere la via del dialogo. Dialogo tra cristiani, ma anche con israeliani e palestinesi. «È ciò a cui ci richiama sempre Papa Francesco: educarci ed educare al dialogo».
La Chiesa è in prima linea in tal senso e si impegna a fondo «affinché questi due popoli possano imparare a vivere insieme e affinché questa terra non si limiti ad essere una casa condivisa ma diventi un luogo in cui conoscersi, rispettarsi e anche volersi bene». A trarre beneficio dalla riconciliazione, sarebbe anche l’ormai minuta comunità cristiana che da decenni continua ad abbandonare la culla del Cristianesimo. «Se le condizioni di vita migliorassero, i fedeli non partirebbero, perché nessuno vuole lasciare la Terra Santa».
Citando le parole di Papa Francesco alla recente plenaria della Roaco (Riunione delle Opere d’Aiuto alle Chiese Orientali), monsignor Lazzarotto sottolinea l’urgenza di piantare il “seme della riconciliazione”. «Proprio come ha fatto il Santo Padre nel suo viaggio in Terra Santa e con l’incontro in Vaticano con Simon Peres e Abu Mazen. «Purtroppo però subito dopo vi è stata la guerra a Gaza che ha seminato odio, divisioni e distruzione sia materiale che spirituale». Nella Striscia di Gaza ancora si notano i segni del conflitto della scorsa estate. «Vi è stata una distruzione terribile e la ricostruzione non è ancora iniziata», afferma il nunzio, sottolineando l’importante opera della Chiesa locale che pur contando soltanto 1300 fedeli, gestisce tre scuole, un ospizio per anziani ed un centro per disabili: «sono queste le strade del dialogo».
Una speranza per il futuro può essere rappresentata dalla comunità cattolica di lingua ebraica, cresciuta in maniera considerevole negli ultimi anni grazie ai figli dei cattolici emigrati in Israele. «Una bellissima e nuova realtà cui bisogna dare attenzione e che in futuro potrebbe avere un ruolo fondamentale».