Città del Vaticano , mercoledì, 24. giugno, 2015 14:43 (ACI Stampa).
Fu con una proposta sulla libertà religiosa basata sulle comuni radici cristiane che la Santa Sede divenne protagonista all’Atto Finale di Helsinki. Lo ricorda il Cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in un articolo sull’Osservatore Romano in cui non solo ripercorre brevemente la storia della partecipazione della Santa Sede agli incontri di Helsinki, ma mette in luce l’importanza della diplomazia pontificia. Una diplomazia che, proprio perché terza e senza interessi di parte, può battersi in favore del bene comune.
La proposta di un paragrafo tutto dedicato alla libertà religiosa fu la questione dirimente che fece della Santa Sede una protagonista di quella assise. Convocata e promossa dai sovietici per rafforzare i confini – mai la Russia era stata con i piedi così ben piantati nel centro-Europa –, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa durò dal luglio 1973 al luglio 1975, a Helsinki e Ginevra. Al termine delle riunioni, si arrivò all’Atto Finale di Helsinki, firmato da tutti i Paesi europei, esclusa l’Albania (che lo ha sottoscritto nel 1990), comprese le due Germanie, la Santa Sede e il Principato di Monaco, nonché gli Stati Uniti d’America e il Canada.
E pensare che all’inizio la partecipazione della Santa Sede fu messa persino in dubbio. Racconta il Cardinal Parolin che il Cardinal Villot, Segretario di Stato era contrario, mentre l’allora Mons. Casaroli, il fautore della Ostpolitik vaticana, ci vedeva una straordinaria opportunità. Paolo VI era d’accordo con lui.
“L’invito alla conferenza – scrive il Cardinal Parolin - era un riconoscimento del peso della Santa Sede nel concerto delle nazioni. Anni di politica orientale vaticana, altrimenti detta Ostpolitik, avevano imposto la Santa Sede come interlocutore rispettabile innanzi ai regimi comunisti e questo aveva generato il loro invito alla Conferenza. A Paolo VI, edotto delle intenzioni dei sovietici di convocarla, non sembrava opportuno tirarsi indietro allorché si poteva capitalizzare sulla scena internazionale il credito accumulato nel faticoso ed estenuante dialogo con l’Est.”
Aggiunge il Cardinal Parolin che “al di là del buon senso politico, importanti motivi ideali spingevano alla partecipazione. La Santa Sede vedeva l’Europa come un’unità, senza cortine di ferro a separare le genti dell’Ovest e dell’Est. La Conferenza si presentava come un’assise per la possibile ricomposizione dell’unità europea lacerata a Yalta, unità che, per di più, era principalmente fondata sulle sue radici cristiane, che avevano prodotto una comune cultura.”