L’incontro ha avuto luogo a poco più di un mese dalla giornata di preghiera ecumenica convocata da Papa Francesco a Bari per il 7 luglio 2018. Destinata ai patriarchi cristiani del Medio Oriente, si sperava che a Bari potesse essere presente anche il Patriarca di Mosca Kirill, che invece non ci sarà, avrebbe fatto sapere il Metropolita Hilarion durante il suo recente viaggio in Italia.
Il tema della protezione dei cristiani in Medio Oriente fu anche al centro dell’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill a Cuba il 12 febbraio 2016.
Da New York: premio al Santa Marta Group
Ogni anno, la Missione della Santa Sede all’ONU di New York ospita un gala intitolato “Path to Peace”, percorso per la pace. Il gala è in onore di una organizzazione che si è distinta durante l’anno nel lavoro per i diritti umani, cui viene assegnato un premio chiamato “Path to Peace Award”.
Quest’anno, il premio è stato appannaggio del Santa Marta Group, l’alleanza di capi della polizia e leader della Chiesa che si sono uniti in collaborazione per sradicare il traffico di esseri umani e tutte le forme di moderna schiavitù.
Il premio è stato conferito al Santa Marta Group perché – ha spiegato l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore della Santa Sede presso l’ONU di New York – “sta avendo grande impatto nella lotta contro la piaga del traffico di persone e di tutte le forme di moderna schiavitù”.
Due fenomeni – ha aggiunto il nunzio – che si stima colpiscano nel mondo circa 40,3 milioni di persone, che si trovano in situazioni di lavoro forzato e sfruttamento sessuale.
Il Santa Marta Group prende il nome dalla residenza del Papa in Vaticano, perché fu lì che i capi di polizia del mondo, dopo una conferenza internazionale nel 2014, hanno fatto una dichiarazione congiunta chiamata “L’impegno di Santa Marta”, in cui si impegnavano a lavorare insieme a livello internazionale per combattere e sradicare il traffico di esseri umani.
Il Cardinale Vincent Nichols, di Westminster, presidente del Santa Marta Group, ha preso la parola durante la cena di gala, spiegando che “ci sono due cose necessarie perché la collaborazione tra poliziotti e clero abbia successo”: la fiducia – in passato, i religiosi avevano paura che cooperando con la polizia avrebbero fatto trattare le vittime come semplici criminali – e la seconda e l’onestà.
Il 22 maggio, la Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite ha organizzato un side event sul Santa Marta Group al Palazzo di Vetro, co-sponsorizzato dallo stesso Santa Marta Group.
Durante l’evento, l’arcivescovo Auza ha sottolineato che “sradicare il traffico di esseri umani e la moderna schiavitù è una delle più maggiori priorità per Papa Francesco”, e ha ricordato che “per diversi anni, le Nazioni Unite sono state profondamente coinvolte nella lotta contro il traffico di esseri umani, con vari impegni, protocolli, accordi e obiettivi internazionali” che puntavano a combatterlo, tra i quali tre obiettivi dell’agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
“Questi e altri impegni simili – ha detto – sono molto importanti, ma non sono sufficienti. C’è bisogno siano seguiti da azioni sul campo”.
Il Cardinale Nichols, da parte sua, ha detto che il principio chiave del gruppo è “sostenere la dignità umana di ciascuna persona, e mantenere le vittime al centro del loro lavoro”, e ricordato che in quattro anni, il Gruppo si è espanso e ha partnership tra polizia e gruppi religiosi in 34 diverse nazioni.
Il Cardinale ha poi detto che il successo del Gruppo non è dovuto solo alle partnership, ma anche al tipo di collaborazione, perché i religiosi sono sicuri che la polizia vede le vittime come vittime, e non solo come criminali. “Passo dopo passo, si è costruita fiducia”.
Tra i successi del Santa Marta Group, l’aver influenzato il Modern Slavery Act del Regno Unito, legge che era in discussione quando è stato fondato il gruppo, con la quale è stato richiesto un Commissario Indipendente anti-schiavitù e un approccio centrato sulle vittime.
Global compact per le Migrazioni, positive le prime reazioni della Santa Sede
Il 28 maggio, il sito delle Nazioni Unite ha pubblicato la bozza di documento dell’accordo globale sulle migrazioni. La bozza è parte di un processo cui la Santa Sede partecipa attivamente, sia con interventi pubblici che negoziando direttamente i punti in un dibattito non pubblico, ma cruciale. Il processo porterà, il 10 e l’11 dicembre, ad una conferenza intergovernativa in Marocco sul tema.
Parlando all’Università Cattolica di Milano il 29 maggio, padre Fabio Baggio, sottosegretario della sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale, ha accolto positivamente la pubblicazione del documento, sottolineando che nella bozza “troviamo una serie di dichiarazione di principi in cui vediamo una seria coincidenza con quelli che sono stati i suggerimenti contenuti nei cosiddetti 20 punti proposti dal settembre 2017 dalla Santa Sede”.
Padre Baggio ha specificato che “non tutti i suggerimenti sono stati ripresi”, ma che nel testo si ritrovano comunque i principi, che il Papa ha delineato in quattro verbi nel Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Padre Baggio ha espresso in particolare apprezzamento del modo in cui “i temi della dignità e diritti umani siano stati inclusi nella bozza”.
Tra le emergenze migratorie, padre Baggio ha ricordato “il flusso di 600 mila Rohingya in fuga dal Myanmar” e “l’1,4 milioni di Venezuelani che hanno lasciato il Paese”.
Padre Baggio ha anche sottolineato alcune attività virtuose degli Stati. “Il Belgio – ha detto - come già fatto dall’Italia, ha recentemente annunciato il lancio dei corridoi umanitari, grazie al coinvolgimento con Sant’Egidio. L’Argentina, in dialogo con la Chiesa locale, ha aperto un canale speciale di regolarizzazione per i venezuelani. La Gran Bretagna sta lavorando sulle sponsorships delle collettività”.
Arrivato il nunzio in Corea
Mentre la Santa Sede continua a sostenere il dialogo di pace tra le due Coree – il Papa lo ha ribadito durante l’udienza generale del 30 maggio – l’arcivescovo Alfred Xuereb è arrivato a Seoul per cominciare il suo incarico come “ambasciatore del Papa” in Corea del Sud e Mongolia.
Nelle sue prime dichiarazioni rese all’agenzia coreana Yonhap, il nunzio ha raccontato che il Papa gli ha chiesto di “assicurare il popolo coreano e i vescovi che continuerà a pregare affinché le future generazioni avranno un futuro di stabilità e prosperità”.
Il Papa – ha aggiunto il diplomatico maltese – è “molto informato della situazione, e ha grande speranza che i colloqui per la riconciliazione, cominciati il 27 aprile, continueranno e avranno successo, in modo che le future generazioni possano vivere in un ambiente pacifico e prosperoso”.
L’arcivescovo Xuereb ha anche sottolineato di essere in Corea “per servire la Chiesa, e farò del mio meglio per conoscere quanto più possibile della Corea, per servire meglio. Più conoscerò la Corea, più potrò servire la Chiesa coreana e il popolo coreano”.
La situazione in Nicaragua
L’arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag, nunzio apostolico in Nicaragua, è stato in udienza da Papa Francesco la mattina del 2 giugno. L’incontro con il Papa arriva all’indomani dalla cancellazione del dialogo nazionale con il governo di Daniel Ortega da parte della Conferenza Episcopale del Nicaragua.
La Conferenza Episcopale aveva accettato di fare da mediatore al tavolo, ma ha deciso di non proseguire il suo lavoro dopo la repressione delle manifestazioni che hanno portato a 11 morti in questa settimana, di cui sei a Managua, la capitale.
“I vescovi della Conferenza Episcopale condannano tutti gli atti di repressione attuati da gruppi vicini al governo, e chiedono mettere in chiaro che non si può far ripartire il Dialogo Nazionale mentre si continua a negare al popolo del Nicaragua il diritto di manifestare liberamente”, sottolinea il comunicato della Conferenza Episcopale del Nicaragua.
Il Dialogo Nazionale era cominciato il 16 maggio scorso. La situazione nel Paese era esplosa a fine aprile, e Papa Francesco aveva fatto un appello per risolvere il conflitto interno al Regina Coeli del 22 aprile, giorno in cui il presidente Ortega aveva convocato poi il tavolo di dialogo.
Il Patriarca Bechara Rai in Francia
Tre giorni di visita ufficiale in Francia per il Cardinale Bechara Rai, patriarca maronita del Libano, che hanno avuto in agenda anche un faccia a faccia con il presidente francese Emmanuel Macron.
In particolare, il Patriarca Rai ha istituito una comunità maronita nei pressi di Lourdes e ha inaugurato la chiesa del Santissimo Salvatore a Issy-les-Moulineaux, ora recuperata dopo anni di abbandono.
L’incontro con il presidente Macron è durato più di un’ora, e sono stati quattro i temi in agenda: le tre conferenze internazionali sul Libano (CEDRE) promosse dalla Francia, il dramma dei rifugiati siriani in Libano, il modello libanese di coesistenza tra religioni e culture e la necessità di salvaguardare la presenza cristiana in Libano.
Il Cardinale ha sottolineato che è necessario che “i rifugiati siriani” tornino nelle zone sicure del loro Paese, perché il Libano “non potrà sopportare ancora a lungo la presenza sul proprio territori odi 1,5 milioni di siriani, ai quali bisogna aggiungere i rifugiati palestinesi”.
L’incontro con il presidente Macron può anche essere letto come parte della strategia di dialogo delle religioni dell’Eliseo: Macron è stato anche a parlare al College de Bernardins il 9 aprile 2018, e sarà in visita in Vaticano il prossimo 26 giugno.
La Chiesa pronta a partecipare al dialogo nazionale nello Zambia
I vescovi dello Zambia sono “più che pronti” a far parte della squadra del processo di dialogo nazionale: lo ha detto padre Cleophas Lungu, segretario generale della Conferenza Episcopale dello Zambia, rispondendo all’appello del presidente Edgard Lungu che la Chiesa si unisca al processo di un dialogo nazionale.
Padre Lungu ha affermato che la Chiesa è pronta a fornire una guida spirituale alla nazione, a coinvolgere tutti i partiti nel processo di dialogo e a collaborare con qualsiasi organizzazione internazionale.
Il dialogo politico nazionale ha l’obiettivo di riconciliare il Paese dopo le elezioni presidenziali e generali del 2016, un voto contestato da molti che ha generato anche situazioni di violenza. Caritas Zambia ha invitato tutte le parti interessate al dialogo a garantire che il processo si basi sui valori cristiani di giustizia e di pace
Myanmar, non solo i Rohingya
Tra il 26 e il 28 maggio, il Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, ha guidato una delegazione di Religions For Peace nello stato occidentale di Rakhine, nella regione oggetto di violenze innescate da una serie di violenti attacchi compiuti dai militanti dell’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA).
La delegazione è stata accompagnata da Thura U Aung Ko, ministro del Myanmar per gli affari religiosi, e U Kyaw Aye Thein, ministro capo del Rakhine, e ha visitato anche Maung Taw, la città al confine tra Myanmar e Bangladesh dove circa 700 mila musulmani e centinaia di indù sono fuggiti dalle violenze, e dove si trova la struttura Hla Hpo Khaung Kya, una delle strutture costruite per accogliere i profughi di ritorno.
Tra gli incontri, quello con le vittime indù del conflitto, attaccate e rapite dagli islamisti dell’ARSA.
Lo scorso 25 maggio, Aung San Suu Kyii e il ministro degli Affari Esteri hanno ricevuto nella capitale Na Pi Taw il Cardinale Bo e 18 personalità internazionali e membri di Religions for Peace, i quali hanno consegnato alla leader della nazione la “Lettera alle Genti del Myanmar”.
Tra il 22 e il 25 maggio, il Cardinale Bo aveva ospitato a Yangon rappresentati del buddismo, del cristianesimo, dell’induismo e dell’islam, a testimoniare l’impegno delle religioni nell’affrontare la crisi.
Ma non c’è solo il dramma dei Rohingya. Il 28 maggio, migliaia di cattolici hanno sfilato per le strade di Myitkina, capitale dello Stato di Kachin, per una marcia di preghiera che chiedeva la pace.
Dallo scorso aprile, si è infatti inasprito il conflitto armato tra l’esercito bimano ed i ribelli del Kachin. Su 1.500 sfollati rimasti intrappolati nel conflitto, solo 150 sono stati autorizzati a recarsi nei campi profughi. Più di 1300 profughi sono ostaggio dell’esercito ed usati come scudi umani. I cristiani hanno denunciato il “genocidio” che viene operato ai danni della popolazione cristiana.