Nel suo intervento, monsignor Chica ha plaudito ai “segnali positivi che dimostrano la efficacia delle strategie per promuovere lo sviluppo rurale e affrontare i cambiamenti climatici, così come le iniziative messa in atto per garantire alle popolazioni più povere la possibilità di accedere al mercato”, ma ha sottolineato che ora si è chiamati a programmare a “un futuro realmente sostenibile”.
La Santa Sede poi ha fatto una disamina degli obiettivi. Monsignor Chica nota che è evidente il danno che stanno provocando i cambi climatici in alcune zone, e che questi danni si aggiungono “gli effetti di una situazione economica mutevole o il predominio di interessi inadeguati rispetto ai problemi esistenti”. Per questo “non c’è tempo da perdere”, ci vogliono “azioni e iniziative incisive”, contando su conoscenze “scientifiche e tecniche” per affrontare problemi come la mancanza dell’acqua, ma anche appoggiare accordi come l’Accordo di Parigi, che non è solo un impegno di buona volontà, ma un compromesso sincero.
Monsignor Chica ha rimarcato che “la centralità dell’attività economica nell’agricoltura sarà efficace se il suo contributo può cooperare a uno sviluppo realmente sostenibile”. E poi ha parlato delle esigenze del mondo rurale, cui sono vincolati “la protezione degli ecosistemi agricoli e forestali” che vengono condizionati dai cambi climatici, di cui si devono considerare le cause, e trovare soluzioni, anche tecnologicamente, “rafforzando la produzione agricola in ragione di una domanda crescente di alimenti, senza però dimenticare che la priorità dell’uso degli alimenti è l’alimentazione”.
Tra le righe, si legge ad un attacco ai cosiddetti biocarburanti e a tutte quelle tecniche che permettono di usare coltivazioni per usi diversi dalla alimentazione. Perché solo in questo modo si potrà “riconoscere la sostenibilità della produzione agricola e la protezione del mezzo ambientale, e così, di conseguenza, dare al concetto di agro- ecologia un significato concreto e possibile”.
La Santa Sede ha chiesto anche che la famiglia rurale sia considerata non solo come mezzo di produzione, ma anche “nella sua realtà naturale che la configura come custodia di valori, del sentimento di solidarietà e dell’amore tra i più deboli”, e allo stesso tempo come garante di “metodi di produzione che rispondano alle caratteristiche del territorio e degli ecosistemi”.
La Comece da Papa Francesco
Ogni anno, il Comitato Generale della COMECE (la Commissione delle Conferenze Episcopali nell’Unione Europea) tiene una plenaria a Roma. Quest’anno, si trattava di una plenaria particolare, perché la prima con la nuova membership e la nuova presidenza, guidata dall’arcivescovo di Lussemburgo Jean-Claude Hollerich.
L’arcivescovo Hollerich, gesuita, ha presentato al Papa i punti in discussione tra Conferenze Episcopali e governi di Europa, e il Papa ha ben accolto l’impostazione della presidenza di rafforzare il dialogo con le istituzioni UE basandosi sul mutuo rispetto e la forte partecipazione dei cittadini cattolici nell’elaborare politiche che contribuiscono al bene comune.
Il comitato della COMECE è stato due giorni a Roma, e si è incontrato anche con il Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri”, e con l’ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede Jan Tombinski.
I premier di Bulgaria e Macedonia in Vaticano per i Santi Cirilo e Metodio
Come tradizione, i premier di Bulgaria e Macedonia, Zoran Zaev e Bojko Borisov, saranno in visita a Roma il prossimo 24 maggio, per la festa dei Santi Cirillo e Metodio secondo il calendario e giuliano, e andranno da Papa Francesco. I due primi ministri, alla guida delle loro delegazioni governative, andranno prima a San Clemente a Roma per rendere omaggio alla tomba di San Cirillo, quindi ci sarà un incontro bilaterale nell’ambasciata bulgara in Italia, mentre il 25 saranno in Vaticano, per un incontro con Papa Francesco e il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.
La visita in Vaticano del premier di Bulgaria avviene in un momento di tensione nei rapporti tra governo e Chiesa Cattolica a Sofia. In particolare, c’è grande preoccupazione per una proposta di legge che prevede un finanziamento da parte dello Stato alle confessioni religiose con numero di fedeli sopra l’1 per cento della popolazione. Lo Stato darebbe a queste confessioni religiose una quota di 5 euro per fedele, mentre tutti i finanziamenti dall’estero saranno vietati, fatta eccezione per una approvazione da parte della direzione dei culti.
A queste condizioni, le uniche confessioni a ricevere i finanziamenti sarebbero la Chiesa Ortodossa e i Musulmani (rispettivamente, il 60 per cento e l’8 per cento della popolazione), ma non i cattolici, che rispondono allo 0,66 per cento della popolazione, o i Protestanti, che sono lo 0,87 per cento della popolazione.
La proposta di legge ha altri punti controversi: i sacerdoti possono essere solo cittadini bulgari, e – in caso siano cittadini stranieri – potranno celebrare solo dopo l’approvazione della Direzione dei Culti. Anche i titoli di studio dovranno essere eseguiti in Bulgaria.
Già due anni fa, due proposte di legge di marca socialista che obbligavano le religioni a registrarsi presso lo Stato avevano fatto scattare il timore per la libertà religiosa in Bulgaria, e ci si era persino spinti a parlare di una situazione simile a quella cinese.
La Santa Sede e Taiwan
La visita ad limina dei vescovi di Taiwan in Vaticano è stata salutata presso l’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede con un ricevimento. L’ambasciatore Matthew Lee ha sottolineato nel suo discorso la “lunga tradizione di libertà di culto presente a Taiwan”, rimarcando l’alto livello di collaborazione tra la Santa Sede e il Paese.
I vescovi di Taiwan, durante la visita ad limina, hanno anche invtato il Papa ad andare nel Paese. Il tutto mentre restano insistenti i rumori di un accordo tra Santa Sede e Cina sulla nomina dei vescovi. L’accordo non andrebbe a toccare le relazioni tra Santa Sede e Taiwan, in corso da 75 anni. Ma le toccherebbe un eventuale accordo diplomatico, perché la Cina chiederebbe di rompere le relazioni con quella che considera solo una “provincia ribelle”.
La posizione dei vescovi in Cina varia. Il Cardinale John Tong, vescovo emerito di Hong Kong, ha dichiarato lo scorso 13 maggio, in pellegrinaggio a Fatima, di aspettarsi “buone notizie” sull’accordo, e ha sottolineato che l’accordo “non copre tutti gli aspetti delle relazioni bilaterali”, ma parte dalla nomina dei vescovi, lodando il grande coraggio dei cattolici cinesi nel difendere la loro fede.
Il predecessore del Cardinal Tong come arcivescovo di Hong Kong, il Cardinale Joseph Zen Zekiun, è invece molto critico dell’accordo, e ha notato in una recente intervista che finché la Chiesa viene perseguitata e non c’è libertà religiosa, non è possibile alcun dialogo.
Cina e Santa Sede chiusero le relazioni diplomatiche nel 1951, quando furono espulsi tutti i missionari stranieri, molti dei quali si rifugiarono a Hong Kong, Macao e Taiwan. Nel 1952, Pio XII rifiutò la creazione di una Chiesa cinese separata dalla Santa Sede e riconobbe formalmente l’indipendenza di Taiwan, dove istituì il nunzio apostolico. Nel 1957, fu istituita l’Associazione Patriottica per prevenire “interferenze straniere” e assicurare che i cattolici vivessero in conformità con le politiche dello Stato”.
La riunione del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente
Lo scorso 8 maggio si è aperto il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che raduna rappresentanti cattolici, ortodossi, evangelici e che non si riuniva da 10 anni. Il tema dell’incontro era “Uniti nella missione e nella visione”, ed ha rappresentato anche un modo di affrontare il dramma dell’esodo dei cristiani dal Medio Oriente: cento anni fa, i cristiani rappresentavano il 25 per cento della popolazione del Medio Oriente, ora non sono più del 4 per cento.
Quale rapporto tra Santa Sede e Stati Uniti?
Lo scorso 14 maggio, Callista Gingrich, ambasciatore USA presso la Santa Sede, ha postato sul blog della Segreteria di Stato americana una lunga riflessione sulle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Santa Sede.
L’ambasciatore Gingrich ha ricordato le ragioni storiche che portarono all’apertura delle relazioni diplomatiche, dovute alla decisione personale del presidente Ronald Reagan che, dopo aver incontrato Giovanni Paolo II nel 1982, diede istruzioni di stabilire una ambasciata presso la Santa Sede, con il compito di “lavorare fianco a fianco con la Santa Sede per contrastare il distruttivo e destabilizzante comportamento dell’Unione Sovietica”.
Una sinergia importante, che dura ancora oggi, perché “la nostra partnership non è terminata con la caduta del muro di Berlino”, ma continua sui temi della risposta alle crisi umanitarie e della salvaguardia della vita umana, così come nel contrastare “il comportamento aggressivo degli Stati” e nel “prevenire e mediare nei conflitti”.
Questo perché “il Vaticano è un superpotere di ‘soft power’”, e il suo impatto – continua l’ambasciatore Gingrich – è reale e rispettato in tutto il mondo”, dato che il Vaticano, “attraverso un network di contatti che non ha rivali a livello locale, gioca un ruolo attivo in nazioni dove molti governi hanno difficoltà ad operare, come la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan e la Siria”, ma anche in Repubblica Democratica del Congo, dove “la Chiesa cattolica continua a giocare un ruolo importante nel supportare il dialogo politico e nel fornire aiuto umanitario”.
Santa Sede e Stati Uniti sono anche partner nel “combattere la moderna schiavitù, promuovere la democrazia e salvaguardare i diritti umani, con particolare riferimento alla libertà religiosa”
Sguardo sull’Africa
Nella Repubblica Democratica del Congo, dove è in corso una nuova epidemia di Ebola, la Chiesa cattolica è stata attaccata dal ministro della Comunicazione congolese Thierry Moungalla. Oggetto dell’attacco, la comunicazione dei vescovi del Congo al governo dello scorso 10 maggio, in cui si invitava il governo ad aprire uno spazio politico e si chiedeva dialogo.
Moungalia ha sottolineato che la Chiesa si “arroga un diritto che non è il suo” cioè quello di essere “portavoce dell’opposizione”, e ha invitato la Chiesa ad aiutare a far passare “con il minor danno sociale possibile” questo momento negativo e doloroso per la popolazione.
La situazione nella Repubblica Democratica del Congo è aggetto di costante attenzione da parte della Santa Sede. Papa Francesco ha proclamato una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Congo e Sud Sudan lo scorso 23 febbraio, mentre la Chiesa locale non ha mancato di far sentire la sua voce.
Dal Nicaragua
È iniziato il 16 maggio in Nicaragua il “Dialogo Nazionale”, convocato per risolvere la crisi socio politica e cui partecipano i vescovi come mediatori. Il dialogo si svolge a Managua, nel seminario interdiocesano Nostra Signora di Fatima, ed è presente anche il presidente Daniel Ortega.
I vescovi sono “mediatori e testimoni” del dialogo, e hanno tenuto una presentazione prima che il presidente prendesse la parola. Nel messaggio di presentazione, il Cardinale Brenes, arcivescovo di Managua e presidente della Conferenza Episcopale locale, ha sottolineato in tre punti la missione della Chiesa, che è “ponte che collega punti distanti, ospedale da campo e madre”, e ha chiesto al Presidente di "compiere quei passi positivi di buona volontà per il successo di questo Dialogo Nazionale, portando avanti i punti che i miei fratelli Vescovi hanno presentato alla sua persona in una lettera inviata nei giorni scorsi".
La situazione in Nicaragua è esplosa a fine aprile, e Papa Francesco ha fatto un appello per la risoluzione del conflitto interno già al Regina Coeli del 22 aprile. In quello stesso giorno, il presidente Ortega aveva convocato il tavolo di dialogo, chiedendo la mediazione dei vescovi.
Il Patriarca Bartolomeo parla agli ambasciatori europei accreditati in Turchia
Nel suo viaggio in Puglia del dicembre 2016, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I aveva prima sottolineato che “la costruzione di un mondo senza Dio è fallita” in una lectio magistralis tenuta all’universtà del Salento, e poi aveva chiesto da Bari che l’Europa guardasse ad Est e che il Mediterraneo diventasse luogo di dialogo.
Temi che ha ribadito incontrando in questa settimana i rappresentanti diplomatici dell’Unione Europea ad Ankara.
Il Patriarca Bartolomeo ha parlato degli sforzi del Fanar per la promozione del dialogo, e ha ricordato che il Concilio Panortodosso ha stabilito che “il fondamentalismo è espressione di una religiosità malata”, una affermazione che vale ancora, nonostante tre patriarcati non abbiano alla fine partecipato all’incontro di Creta.
Tra i temi dell’incontro, anche la Cura del Creato, uno degli argomenti principali della predicazione di Bartolomeo, che ha portato anche alla firma di un messaggio congiunto con Papa Francesco per la Giornata Mondiale per la Cura del Creato.
Secondo Bartolomeo, la solidarietà si applica sia con gli esseri umani che con il creato, perché oggi nel mondo ci si distacca “dalla tradizione della solidarietà” a causa della “crescita dell’individualismo, edonismo, consumismo e la mancanza di sensibilità sociale”.
Il Patriarca Bartolomeo ha quindi esortato le religioni a “costruire ponti” per “proteggere la sacralità della persona umana”, fare avvicinare le persone, confermare “l’ininterrotta unità tra la fede in Dio e l’amore per i nostri simili”.
Il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli ha poi affermato che l’Europa è “un grande esperimento di solidarietà”, e che il continente, nel suo cammino verso la piena integrazione e unità, “non può avere soltanto come unico riferimento lo sviluppo economico”, ma si deve basare sul rispetto della dignità della persona umana.
L’Europa, in fondo – ha detto il Patriarca – non è un prodotto della mente, ma un progetto alla cui base sono “i diritti dell’uomo e il concetto di società aperta”. Parlando poi del 70esimo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, il Patriarca Bartolomeo ha sottolineato che i concetti di “uguaglianza, fratellanza e libertà” non vanno presi singolarmente, perché possono aprire ai radicalismi, e invece sono “concetti e valori imprescindibili tra di loro”.
L’Europa – ha aggiunto – ha dunque “una visione etica e spirituale”, a differenza dell’Europa tecnocratica che “dà la precedenza ai valori di mercato”.
“Deve esser ben chiaro - ha poi aggiunto - che l'Unione europea non è emersa ex nihilo, dal nulla. Si basa su una lunga tradizione di valori e battaglie per la libertà, la giustizia e la fede nella dignità della persona umana. Senza queste radici, sarebbe impossibile determinare quello che definiamo oggi ‘Europa’.”
E – ha sottolineato “una di queste radici è indubbiamente il cristianesimo. Pertanto, il nocciolo dell'Europa moderna, vale a dire i diritti dell’uomo, portano il marchio del cristianesimo, anche se non possono essere considerati come sua diretta creazione. Né il rifiuto iniziale dei moderni diritti dell’uomo da parte delle Chiese cristiane dell’Occidente, né le tendenze anti-ecclesiastiche degli illuministi, sono stati in grado di eliminare le radici profonde dei diritti umani nella tradizione e nella cultura cristiana”.
Per il Patriarca, le Chiese cristiane sono chiamate a “contribuire alla cultura dei diritti umani”.
Sulla questione migratoria, il Patriarca Bartolomeo ha sottolineato che “è impossibile affrontare l'attuale crisi migratoria e dei rifugiati con criteri e valori di un'Europa burocratica, tecnocratica ed economicamente concentrata su se stessa. La soluzione deve basarsi sui principi dei valori dei diritti dell’uomo, che sono la Magna Carta europea che pongono al centro il rispetti della libertà umana. L'alleato naturale dei diritti dell'uomo sono le Chiese cristiane, anche la base della concezione cristiana della dignità umana è diversa da quella dei movimenti laici”.