Già l'articolo 2 della Carta costituzionale afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Chiarito ciò, il pensiero giuridico sulla questione, ha dato adito a tendenze opposte. Alcuni giuristi hanno affermato la compiutezza di un trattamento di interruzione alla continuità dell'esistenza in quanto, in alcune ipotesi, è necessario analizzare le facoltà esclusivamente, celebrali del soggetto le quali se mancano inficiano la possibilità nella durata dell'arco vitale.
Un'altra impostazione, invece, ha affermato la continuità dell'esistenza in quanto le facoltà celebrali ed intellettive rappresentano solo una parte del contenuto caratterizzante la persona, intesa nella propria integralità, ma non sono il solo ed esclusivo, presupposto fondante l'esistenza.
La persona umana va considerata in tutta la complessa struttura ontologica della propria personale dimensione composta di intelligenza, affettività, requisisti biologici e fisici.
L'ordinamento giuridico italiano, con la L.219 del 22 dicembre 2017, ha disegnato le linee guida in tale settore. La citata fonte ha stabilito che è il soggetto il titolare effettivo del diritto di stabilire quali trattamenti prevedere o meno nel caso in cui si trovi in un delicato e perdurante stato psico-fisico. In tali ipotesi, manifestando il proprio consenso informato, ai sensi dell'articolo 1322 c.c, può esercitare il proprio diritto alla autodeterminazione in relazione al supposto trattamento. Qualora ciò non fosse possibile, la responsabilità è affidata ad un parente oppure ad un amministratore di sostegno, nominato per tali incombenze, dal Tribunale.
Ma vediamo qual'è la situazione giuridica negli altri Stati.
Il numero preminente degli Stati Uniti con l'Uniform Rights of the Terminally Act recepisce l'impostazione dell'autodeterminazione della persona la quale può esprimere il proprio consenso informato, anche tramite una registrazione video (se non vi è altra possibilità di esternare la volontà). Nel caso in cui ciò non sia più possibile si farà ricorso all'istituto di un amministratore di sostegno, il quale sarà legittimato a dichiarare l'effettiva scelta del soggetto.
In Germania, è in vigore una legge (dal 2009) che regola le ipotesi di testamento biologico e la possibilità del soggetto di autodeterminarsi. Ma la persona, in tale percorso, è coadiuvata da un amministratore di sostegno e dal proprio medico curante, i quali consentono di rendere effettiva la volontà del soggetto amministrato. In assenza di questa, la decisione appartiene alla competenza degli organi giurisdizionali.
Nei Paesi Bassi invece è possibile per il paziente emettere una dichiarazione di trattamento, anche in ordine ad un evento interruttivo dell'esistenza. Tale richiesta è subordinata alla valutazione di due medici (dei quali uno, terzo ed imparziale, nella vicenda) i quali sono chiamati ad esporre un giudizio sulle possibilità in ordine alla vita del paziente.
Nel Regno Unito, sulla scorta del Mental Capacity Act (2005) la legge stabilisce l'applicazione del criterio dell'autodeterminazione e di un amministratore di sostegno. Però, nel caso in cui ciò non fosse possibile la scelta potrebbe essere presa, previo parere, discrezionalmente vincolante, dell'equipe medica.
Un caso simile fu deciso dalla Suprema Corte con la sentenza Blond (1993). In tal caso, il provvedimento stabili che qualora i medici ritenessero che i trattamenti da eseguire potessero risultare inutili, all'effettivo miglioramento delle condizioni di vita del paziente, l'equipe sanitaria non sarebbe stata obbligata a continuare le somministrazione, lasciando la possibilità di scelta alla valutazione all'organo ospedaliero. Quindi lo staff medico, sarà chiamato ad effettuare una diagnosi prognostica, basata sul parametro del maggior bene del paziente.
In conclusione, dalle brevi note esposte è doveroso osservare come tale questione così delicata, integri sia le conoscenze etico-morali come quelle più strettamente giuridiche, per trovare una risposta adeguata. Ciò in quanto il dolore e la sofferenza in tali ipotesi riguardano il labile confine fra il diritto alla vita ed il diritto per la vita. E la scelta tocca non solo la difesa degli interessi del singolo ma soprattutto a quelli dell'intera comunità, nella quale la persona è chiamata ad operare.
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