In un comunicato, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha detto di “valutare positivamente” la concessione di una autocefalia, ha sottolineato che si tratta comunque di “un affare interno alle Chiese ortodosse”, e ha rimarcato che comunque si tratta di un passo importante “per il superamento della divisione tra le Chiese ortodosse ucraine e dall’isolamento nell’ambito del mondo ortodosso”.
Perché – ed è questo il tema – una autocefalia ucraina sarebbe “solo il primo passo per raggiungere l’unità delle Chiese in una sola Chiesa locale di Kiev”, e l’auspicio è che dopo si sviluppi un dialogo ecumenico con la Chiesa Greco Cattolica di Ucraina.
Quindi, i Greco Cattolici di Ucraina fanno una specificazione importante: sebbene la Chiesa Greco Cattolico Ucraina abbia presente “la tradizione delle Chiese ortodosse riguardo la sintonia tra Chiesa e Stato”, che include la partecipazione di quest’ultimo nei processi ecclesiastici in alcune situazioni storiche”, essi ritengono che “il ruolo di uno Stato non è quello di fondare una Chiesa, ma piuttosto di creare le condizioni allo sviluppo libero, integrale e organico della Chiesa stessa”.
C'è, in queste parole, lo smarcamento da ogni possibile implicazione politica della vicenda. Ed è importante farlo, perché, in una regione che vive un conflitto dimenticato e una influenza russa che si è trasformata in quella che la Chiesa Greco Cattolica non ha esitato a definire una “aggressione” (riferendosi implicatamente ai russi), appoggiarsi su una decisione politica andrebbe ad inficiare tutto il lavoro di dialogo svolto fino ad adesso. Un dialogo che ha visto tutte le confessioni religiose unite nell’aiutare la popolazione stremata dal conflitto.
Ma perché la richiesta di una autocefalia per la Chiesa Ortodossa Ucraina è così importante?
Come sempre, ci sono molte sfumature da considerare, a più livelli: a livello di Chiese locali, a livello di Chiesa ortodossa, e anche a livello di impatto politico. Le ha spiegate bene il reverendo Nicolas Denysenko, in un lungo saggio.
In Ucraina, il Parlamento ha votato il supporto alla proposta, mentre il Patriarcato di Kiev e la Chiesa Autocefala Ortodossa di Ucraina hanno scritto una lettera per appoggiare la richiesta, mentre il Patriarcato di Mosca ha detto che le azioni del presidente violano la legge ucraina, perché gli uffici dello Stato avrebbero interferito negli affari della Chiesa, e che comunque tutte le Chiese sorelle devono essere d’accordo nel creare l’autocefalia.
Ma il tema dell’autocefalia ucraina era anche nell’agenda del Concilio Pan-Ortodosso, cui alla fine il Patriarcato di Mosca decise di non partecipare, seguito da altri tre patriarcati. Una minoranza all’interno della sinassi.
Ed ecco che qui i vari piani si intrecciano. Gli ortodossi in Ucraina vivono un conflitto continuo, e l’ultima tensione si è avuto quando l’eparchia di Zaporizhian, del Patriarcato di Mosca, non ha voluto celebrare il funerale ad un bambino battezzato nel Patriarcato di Kiev e morto tragicamente. E le dispute diventano più accese quando le parrocchie cambiano la loro giurisdzione giuridica, e non aiuta il conflitto dimenticato, ma vivo.
Ecco, allora, che la concessione di una autocefalia diventa dunque un fatto politico, perché lo Stato supporta l’autocefalia allo scopo di idealisticamente liberare le Chiese ortodosse dal controllo della Russia, e così da evitare ulteriori divisioni, tanto che Poroshenko ha persino pubblicamente sostenuto che una autocefalia andrebbe a “cessare il processo di colonizzazione russa sull’Ucraina”.
Poi c’è la questione interna. Le Chiese autocefale ucraine non hanno mai ricevuto legittimazione dalla ortodossia globale, e le due Chiese tuttora esistenti aspettano il “tomos” per “normalizzare” le relazioni con il mondo ortodosso, ma anche per promuovere le loro tradizioni. Tra queste, l’ucrainizzazione, vale a dire l’uso dell’ucraino come linguaggio primario della liturgia e la ripresa dei costumi liturgici di Ucraina.
Ma la questione è ancora più complessa, perché le due autocefalie, divenute una e riconosciuta, potrebbero anche cercare di reclamare per loro proprietà che sono ancora del Patriarcato di Mosca. Sarà una questione molto delicata da gestire.
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Ovviamente, ci sarà chi vorrà restare con il Patriarcato di Mosca, anche perché si riconosce più nella tradizione russa che in quella ucraina. Il governo ha già garantito ogni diritto legale a farlo. Ma è ovvio che ci potranno essere rigurgiti, anche un tentativo di dare la colpa dell’illegittimità al Patriarcato di Mosca, cosa che perpetuerebbe il conflitto in corso.
Anche perché, da parte sua, il Patriarcato di Mosca ha recitato il ruolo del martire, riferendosi agli incidenti avvenuti nei cambiamenti di giurisdizione di parrocchie come ad attentati alla loro Chiesa.
Ma questo sarebbe un passo che cambierebbe tutto, anche l’idea di Mosca che Kiev è la loro madre, tanto che il metropolita ortodosso di Kiev ha poteri speciali. Ma cambierebbe anche il ruolo del Patriarcato ecumenico, cui ci si è appellati per l’autcefalia.
Il Patriarcato ecumenico è primo nella sinassi, ma ha pochi fedeli, nonostante abbia un grande prestigio. Il Concilio Pan-Ortodosso voluto da Bartolomeo I ha creato un supporto ecclesiale interno al mondo ortodosso che potrebbe rafforzarsi, perché gli ucraini si sentirebbero debitori e garantirebbero il loro appoggio. Ma renderebbe ancora più gelide le relazioni di Costantinopoli con Mosca, e va ricordato che Bartolomeo non ha accettato l’invito a Mosca del Patriarca Kirill per festeggiare i 100 anni del Patriarcato.
È ovvio, poi, che nessuna parte vuole concedere qualcosa, perché sembra in gioco il futuro stesso della comunione ortodossa.
Sia Bartolomeo che Kirill vantano importanti rapporti con Papa Francesco. Bartolomeo è arrivato a scrivere un messaggio congiunto con Papa Francesco per la Giornata della Cura del Creato, Kirill ha voluto lo storico incontro all’Avana del febbraio 2016 e da allora ha cominciato un processo di avvicinamento costante sui temi della lotta alla secolarizzazione e della pace nel mondo – e in tal senso si legge anche la telefonata a Papa Francesco sulla guerra in Siria.