Operazione quasi eroica. E profetiche sono state le Giornate Mondiali della Gioventù,” nelle quali, pur con qualche fisiologico limite, si è data per decenni la possibilità ai giovani di incontrare altri giovani, mostrando come la Chiesa fosse e sia viva, fosse e sia giovane”.
Il rischio per un giovane è la tentazione di due polarizzazioni, entrambe artificiali: non avere nulla da imparare ed essere immune da errori, o perdere la fiducia nelle sue capacità che diventa inerzia paralizzante. Si arriva alla interpretazione della libertà svincolata da ogni riferimento al vero e al bene.
Il pastore sa che “il cuore dell’uomo è sempre nuovo e sempre domanda di essere educato, di incontrare il bene e il vero, di riconoscerli come corrispondenti alla propria natura e di imparare a seguirli”. Del resto i giovani sono particolarmente generosi nell’impiegare le proprie energie in ciò che sta a loro evidentemente a cuore ma “meno forte appare la capacità di applicare queste energie alla modifica dei propri comportamenti in ambito etico e morale”.
Ma “l’incontro con Cristo determina, quando è autentico, un risveglio, una capacità nuova di analisi, un’energia nuova, imprevista e straordinaria, dalla quale permanentemente attingere anche per cambiare il proprio cuore, o almeno per domandare che sia cambiato”. E “Accanto a quelli che possiamo indicare come i bisogni “tradizionali” dei nostri giovani, oggi ne emergono alcuni che potremmo riconoscere come “nuovi”” come il bisogno di sicurezza e stabilità, anche in campo affettivo.
“ La generazione figlia del divorzio e di tutto il resto- dice Piacenza- che ha sperimentato sulla propria pelle le difficoltà, i dolori e le ferite delle disgregazioni familiari, non si rassegna alla cosiddetta “famiglia allargata”, presentata dai mezzi di comunicazione come l’unica soluzione possibile, ma domanda, al contrario, la famiglia fedele, nella quale la certezza della stabilità dei rapporti prevalga, innanzitutto per gli adulti, sugli egoismi personali e sulla tentazione di fare del male per soddisfare i propri istinti, capricci o bisogni”.
Per questo la Chiesa non può perdere “una sola occasione negli incontri sacramentali e nelle celebrazioni della Liturgia, di mancare un solo sguardo nei giovani che ancora guardano a Cristo, al Vangelo e alla Chiesa, perché ne saremo responsabili di fronte a Dio”. In effetti “un giovane, che giunge a domandare alla Chiesa e al suo prete di celebrare il sacramento della Riconciliazione, compie comunque un atto radicalmente rivoluzionario, contro-culturale”. E per questo “sarebbe delittuoso se, come pastori, non fossimo consapevoli della portata non appena semplicemente rituale o sacramentale dei gesti dei nostri giovani, ma della portata profetica, evangelica e, perciò storica e culturale che tali gesti hanno” dei veri “ atti “sovversivi”, che da soli hanno il potere silenzioso, ma permanente di sconfiggere le illusioni del mondo, le seduzioni della cultura dominante e l’insipienza del nulla”.
Conclude il cardinale che la responsabilità di accogliere, sostenere e amare questi giovani “pesa tutta su quella porzione di popolo di Dio che ha ricevuto da Cristo il mandato di assolvere i peccati; pesa tutta su vescovi e sacerdoti, chiamati ad essere autentici ministri della misericordia, leggendo in ogni singola celebrazione del sacramento tutta la prospettiva esistenziale, profetica e culturale che vi è contenuta ed offrendo ai giovani ciò di cui essi soltanto hanno desiderio e bisogno: offrendo Cristo. Nessuna altra offerta, per quanto moderna, mondana ed allettante, offrirà mai ai giovani ciò che offre loro Cristo”.
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