Tel Aviv , lunedì, 16. aprile, 2018 14:00 (ACI Stampa).
I cattolici di lingua ebraica sono una minoranza in Terrasanta, ma hanno un vicariato a loro dedicato, il Vicariato di San Giacomo, frutto dello sviluppo dell’Opera San Giacomo che da più di 60 anni ha la loro cura pastorale. Da poco, padre Rafic Nahra è stato nominato vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica. Ad ACI Stampa, racconta sfide e particolarità del suo compito.
Si chiamava Opera di San Giacomo, poi è diventato a poco a poco un vero e proprio vicariato. Perché ce ne era bisogno?
Il vicariato non esisteva prima della fondazione dello Stato di Israele. L’Opera San Giacomo è nata per rispondere alle necessità pastorali delle famiglie miste (composte magari da un coniuge cristiano e l’altro ebreo) che arrivavano nel territorio, e per lavorare alla riconciliazione tra cristiani e ebrei. L’opera di San Giacomo si è trasformata a poco a poco in Vicariato, con vari sviluppi. Le persone che vivevano qui avevano chiesto, prima del Concilio Vaticano II, di tradurre certe parti della Messa in Ebraico, e questo ha contribuito alla formazione di piccole comunità parrocchiali. Oggi il Vicariato è la Chiesa di espressione ebraica in Israele.
Come è composto il Vicariato?
Abbiamo varie comunità, con una parrocchia a Gerusalemme, una a Bersheba, una a Jaffa, una ad Haifa. Anche quelli che pregano in russo sono assimilati al nostro Vicariato, perché vivono in Israele piuttosto che in Palestina e sono vicini al mondo di espressione ebraica più che al mondo di espressione araba. Abbiamo qualche prete che celebra in russo e partecipa alle nostre riunioni.