Città del Vaticano , mercoledì, 11. aprile, 2018 14:00 (ACI Stampa).
“La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”. San Giovanni XXIII cominciava così, 55 anni fa, l’enciclica Pacem in Terris. Ancora oggi, quell’enciclica continua a rappresentare il cardine dell’attività diplomatica della Santa Sede.
Quando, l’11 aprile del 1963, Giovanni XXIII promulgò la sua enciclica destinata anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, rivolgendosi non solo ai cattolici, il quadro internazionale era profondamente diverso: c’era la Guerra Fredda, il mondo era diviso in blocchi, la corsa agli armamenti era fatta con fine dissuasivo. Eppure, sebbene lo scenario internazionale non sia mutato, i temi restano sempre i medesimi.
C’è ancora da guardare alla Pacem in Terris quando la Santa Sede parla di disarmo e quando sottolinea in sede internazionale che “più armamenti non equivalgono a maggiore sicurezza”, come è successo in una recente conferenza internazionale promossa in Vaticano per parlare di disarmo nucleare.
E c’è ancora da guardare alla Pacem in Terris quando si guarda ai grandi temi della diplomazia di oggi, in un mondo più multilaterale di allora, meno diviso in blocchi, eppure ancora così frammentato da necessitare quella spinta all’unità dei popoli che si trova subito nel testo di Giovanni XXIII. Il tema di fondo della Pacem in Terris è in fondo la comunione tra i popoli.
Per quanto innovativa e figlia dei suoi tempi, l’enciclica affondava le radici nel Magistero di Leone XIII, ma anche di Pio XII, non a caso citato 28 volte nel testo.