Roma , domenica, 11. marzo, 2018 17:50 (ACI Stampa).
In occasione del 50° anniversario della sua fondazione, la Comunità di Sant’Egidio incontra Papa Francesco. Il Pontefice è arrivato nel pomeriggio, ha ascoltato varie testimonianze, ha rivolto un discorso ai presenti, celebrato la liturgia della Parola, ma soprattutto ha incontrato uno per uno “il cuore pulsante” della Comunità: giovani e poveri amici di Sant’Egidio, tra cui i profughi arrivati con i corridoi umanitari, anziani, bambini delle Scuole della Pace, persone con disabilità dei laboratori d’arte, senza dimora accolti in questi giorni di freddo.
“Buonasera, non tanto buona con questo tempo. Roma ha le porte aperte, ma anche il cielo ha le porte aperte e ci sta bagnando. Grazie di essere qui, grazie della vostra generosità. Qui c’è il cuore aperto per tutti, senza distinguere, per tutti”. Sono le prime parole a braccio del Papa, un fuori programma sulla famosa piazza trasteverina, Santa Maria in Trastevere.
Sant’Egidio è una Comunità cristiana nata nel 1968, all’indomani del Concilio Vaticano II, per iniziativa di Andrea Riccardi, in un liceo del centro di Roma. Con gli anni è divenuta una rete di comunità che, in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione alle periferie e ai periferici, raccoglie uomini e donne di ogni età e condizione, uniti da un legame di fraternità nell’ascolto del Vangelo e nell’impegno volontario e gratuito per i poveri e per la pace. Ora ha la sua casa a Trastevere, nel cuore di Roma.
“Non avete voluto fare di questa festa solo una celebrazione del passato, ma anche e soprattutto una gioiosa manifestazione di responsabilità verso il futuro”, dice il Papa nell’incipit del suo discorso, una volta entrato in Basilica.
Preghiera, poveri e pace sono i riferimenti fondamentali della Comunità. E Francesco ci tiene a ribadirli: “Questo è il talento della Comunità, maturato in cinquant’anni. Lo ricevete nuovamente oggi con gioia. Il mondo oggi è spesso abitato dalla paura e dalla rabbia, sorella della paura. È una malattia antica: nella Bibbia ricorre spesso l’invito a non avere paura. Il nostro tempo conosce grandi paure di fronte alle vaste dimensioni della globalizzazione. E le paure si concentrano spesso su chi è straniero, diverso da noi, povero, come se fosse un nemico. Si fanno dei piani di sviluppo delle nazioni sotto la guida della lotta contro questa gente. E allora ci si difende da queste persone, credendo di preservare quello che abbiamo o quello che siamo. L’atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani che, come quel servo della parabola, nascondono il dono ricevuto: non lo investono nel futuro, non lo condividono con gli altri, ma lo conservano per sé”.