Carpi , domenica, 18. marzo, 2018 10:00 (ACI Stampa).
Siamo ormai prossimi alla settimana santa e come domenica scorsa il Vangelo ci porta a confrontarci con la passione e la morte di Cristo, che Egli definisce come la sua “ora”. Per il mondo la Croce è sinonimo di impotenza e di fallimento, di disfacimento e di morte mentre per Gesù costituisce il momento della sua glorificazione. Come è possibile che una morte umiliante e dolorosa possa trasformarsi in esaltazione e gloria? Perché nella morte di Cristo si manifesta al mondo l’amore di Dio e la fecondità dell’offerta della sua vita.
Gesù sulla croce è solo, ma la sua morte produce lo stesso effetto del chicco di frumento che, sepolto nella terra, rinasce moltiplicato. La morte di Cristo è una morte feconda perchè dona vita, speranza e pace a tutti coloro che volgeranno lo sguardo verso il crocifisso. La condizione, dunque, per godere del dono della salvezza è quella di diventare discepoli di Gesù ed entrare nel suo stesso mistero e insieme a Lui godere della intimità del Padre. La fede in tale modo, diventa protezione e sicurezza perché rende partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte e ci introduce nella vita eterna. Infatti, nella Passione Gesù vince Satana e distrugge il suo potere di odio, di violenza, di egoismo e sostituisce ad esso l’“ora” dell’amore assoluto, alla quale possono partecipare tutti coloro che accolgono nella fede la persona e l’opera di Cristo.
La certezza della fecondità del suo sacrificio non impedisce a Gesù di sentire paura e angoscia per la morte che si avvicina. Il pensiero di essere chiamato a subire la sorte del grano, che deve morire per vivere, turba profondamente Gesù. Come il Signore supera questa prova? Riaffermando la sua obbedienza filiale al Padre. Scrive san Tommaso che Cristo “si è offerto spontaneamente alla passione; non vi fu costretto da fatale necessità; e neppure vi è stato obbligato dalla violenza umana”. Tuttavia, ha sentito la fatica e non ha esitato a manifestare che la sua anima era scossa. Anche noi ameremmo l’esaltazione senza la crocifissione, la gloria senza la passione. Gesù, invece, ci insegna che esse sono inseparabilmente unite.
Non deve dunque meravigliare se facciamo fatica ad accettare che la vera morte non è la morte fisica, ma la morte eterna conseguenza del nostro rifiuto di amare, di donare se stessi. Gesù ci insegna che per entrare nella vita è necessario morire al proprio egoismo, al peccato e alla ricerca spasmodica del proprio tornaconto. Scrive, ancora, san Tommaso: “Seguire Cristo è un grande onore, e la remunerazione dell’imitazione è la partecipazione stessa della gloria”. La consistenza del discepolo di Cristo è il servizio senza il quale è impossibile godere appieno della vita ed entrare in un cammino di gioia e di pienezza. Solo amando si può partecipare della vittoria di Cristo, che conduce alla piena visione di Dio.
La presenza del Crocifisso mi fa scorgere i segni del “corpo dato” e del “sangue versato”, cioè dell’amore di Cristo che si dona fino alla fine per noi. Un’offerta che si rinnova tutte le volte che si celebra l’Eucarestia. Per mezzo di essa siamo resi partecipi del perdono, della forza e della carità di Gesù e immersi nella sua stessa vita.