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Mosul, un anno dopo i cristiani sono ancora profughi

I bambini iracheni con il logo di ACS | I bambini iracheni con il logo di ACS | ACS I bambini iracheni con il logo di ACS | I bambini iracheni con il logo di ACS | ACS

Nella notte tra il 9 ed il 10 giugno 2014 decine di migliaia di cristiani hanno abbandonato Mosul, certi che sarebbero presto rientrati nelle loro case.

È passato un anno e la seconda città irachena è ancora in mano agli uomini dello Stato Islamico.

«Con il trascorrere dei mesi, le nostre speranze di tornare a casa sono diminuite sempre più – dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Georges Jahoula, sacerdote della diocesi siro-cattolica di Mosul – e molti cristiani si sono visti costretti a cercare questa speranza al di fuori dell’Iraq».

Padre Jahoula fa notare come i cristiani siano stati obbligati ad emigrare. «Sono stati strappati via dalla loro terra. Non è stata una scelta, sono stati sradicati con la forza».

Le notizie che giungono da Mosul e dalla Piana di Ninive non fanno che aumentare il dolore della comunità cristiana. Come la trasformazione in moschea della chiesa siro-cattolica di Sant’Efrem, voluta ieri dall’Isis proprio per festeggiare il triste anniversario. «Episodi come questo, per i fondamentalisti rappresentano un trionfo ai danni del cristianesimo. Mentre per noi non sono che l’ennesima ferita, ad un cuore già trafitto».

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 Alla piaga del martirio cristiano in Iraq si unisce quindi l’umiliazione della desacralizzazione delle chiese, come ricorda anche il presidente di ACS, Alfredo Mantovano.

«Gli orrori del XX secolo hanno mostrato che la barbarie avanza quando chi vive nella civiltà non sente il dovere di fermarla. Un anno fa decine di migliaia di nostri fratelli nella fede hanno dovuto lasciare Mosul, area di antico Cristianesimo, per sfuggire a una morte certa. Oggi, allontanati i cristiani con la violenza più cieca, i luoghi sacri vengono trasformati in moschee e si ripete l’oltraggio riservato in passato ad altre splendide basiliche. Prendiamo a cuore nei fatti la sorte di chi rischia la vita per la fede in Cristo e subisce umiliazioni come quella odierna! È il modo per essere vicini a chi patisce la tragedia in corso, e per impedire che un domani lo stesso accada a noi, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto».

Dalla presa di Mosul ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato ai cristiani iracheni oltre 7milioni e 200mila euro. Un impegno che la fondazione pontificia continua a portare avanti e a cui l’ufficio italiano sta contribuendo con una nuova campagna dal titolo “Rimanere Cristiani in Iraq