Città del Vaticano , martedì, 9. giugno, 2015 18:47 (ACI Stampa).
Nella notte tra il 9 ed il 10 giugno 2014 decine di migliaia di cristiani hanno abbandonato Mosul, certi che sarebbero presto rientrati nelle loro case.
È passato un anno e la seconda città irachena è ancora in mano agli uomini dello Stato Islamico.
«Con il trascorrere dei mesi, le nostre speranze di tornare a casa sono diminuite sempre più – dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Georges Jahoula, sacerdote della diocesi siro-cattolica di Mosul – e molti cristiani si sono visti costretti a cercare questa speranza al di fuori dell’Iraq».
Padre Jahoula fa notare come i cristiani siano stati obbligati ad emigrare. «Sono stati strappati via dalla loro terra. Non è stata una scelta, sono stati sradicati con la forza».
Le notizie che giungono da Mosul e dalla Piana di Ninive non fanno che aumentare il dolore della comunità cristiana. Come la trasformazione in moschea della chiesa siro-cattolica di Sant’Efrem, voluta ieri dall’Isis proprio per festeggiare il triste anniversario. «Episodi come questo, per i fondamentalisti rappresentano un trionfo ai danni del cristianesimo. Mentre per noi non sono che l’ennesima ferita, ad un cuore già trafitto».