Roma , sabato, 9. dicembre, 2017 10:00 (ACI Stampa).
Da domenica scorsa siamo entrati nel tempo di Avvento. Un tempo che prepara al Natale.
Nella Chiesa inizia anche il nuovo anno liturgico, occasione per tanti vescovi di scrivere ai fedeli in vista della festa del Natale con l’invito a passi concreti di conversione.
Mons. Luigi Ernesto Palletti, vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato, ricorda il presepe voluto da san Francesco. Il poverello d’Assisi, ricostruendo la scena del presepe vivente, ha contribuito non poco a “ravvivare nel popolo” l’evento del Natale “affermando con semplicità una caratteristica fondamentale della fede cristiana, ovvero il suo essere radicata in una storia concreta e reale. Gesù di Nazareth è nato da Maria. Alcuni hanno creduto in lui, lo hanno riconosciuto come Figlio di Dio e salvatore, lo hanno seguito; altri no. Ma la sua presenza nella storia si manifesta per tutti come un fatto, un evento. Ecco perché, per i credenti, è necessario fare memoria. Perché la nostra fede – spiega mons. Palletti - non nasce da una apparizione di angeli, né dalla sottile speculazione filosofica dei sapienti, ma da un evento concreto”. Un evento che interpella e chiede ad ognuno di “compiere passi concreti di accoglienza e di conversione”. In questo Avvento potrebbero trovare una efficace risposta due impegni precisi, secondo il presule ligure: il primo è “quello di accostarsi al Vangelo, leggendone uno dei quattro, pagina dopo pagina, in modo continuativo, senza dare per scontati i suoi contenuti” mentre il secondo, “complementare al primo, è quello di compiere gesti di autentica carità”. “Fede e carità non possono mai essere separate. Solo così il nostro Avvento – scrive mons. Palletti -. ci potrà condurre all’incontro con Gesù, che nella memoria di fede ci riporterà a Nazareth, mentre nel gesto concreto ci permetterà di viverlo nell’Eucaristia e nella vicinanza a tanti nostri fratelli in necessità”.
Sul senso dell’incarnazione di Dio invita a meditare l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, sottolineando che si tratta di “una delle verità fondamentali della nostra fede cristiana”. Per il presule la storia di Gesù, “già a partire dal modo in cui è avvenuta la sua nascita fino alla sua morte in croce e alle sue apparizioni di risorto dai morti, è rivelazione piena di Dio. E questo non è cosa da poco. È come se dicessimo, infatti, che solo nella storia di un uomo, di Gesù di Nazareth unico salvatore del mondo, poteva avvenire la completa narrazione che Dio fa di se stesso. Non bastavano quindi la creazione, la rivelazione ai patriarchi e a Mosè, il dono della Legge, le scritture profetiche e gli scritti sapienziali. Occorreva la storia di Gesù di Nazareth – dei suoi gesti, delle sue scelte, delle sue posture, dei suoi gesti di tenerezza e dei suoi rimproveri, delle sue parole autorevoli e dei suoi dialoghi interpersonali, dei suoi miracoli, dei suoi silenzi, della sua capacità di gestire la sofferenza e il dolore, della sua preghiera intima in cui ricerca la volontà di suo Padre e vi si affida – perché ogni uomo potesse cogliere in questa storia ciò che Dio vuole raccontare di se stesso e del Suo profondo desiderio d’incontrarlo. Sì, perché Dio coltiva da sempre, dentro la sua esistenza trinitaria, l’intimo desiderio di poter incontrare ogni uomo e ogni donna. E neanche la diffidenza e il peccato dell’uomo lo allontanano da questo proposito di amicizia e di comunione. Prima che ogni uomo si metta alla sua ricerca, Dio – scrive - lo cerca con infinita dedizione, con amore ricolmo di misericordia, pensandolo fin da prima che egli nasca. Il Dio che viene nella carne di Gesù di Nazareth, il Dio che verrà nella gloria del suo Figlio, è lo stesso Dio che viene così incontro ad ogni uomo da pensarlo ed amarlo prima ancora che possa emettere i suoi primi vagiti. Prima degli abbracci e dei baci del proprio papà e della propria mamma, ogni bambino che viene al mondo è già generato ed accolto dal sorriso benevolente di Dio. È allora il grande mistero della tenerezza di Dio che sorregge tutto quanto il mondo”.
Mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti invita a “contestare una cultura che, esaltando esageratamente l’individualismo e l’egoismo, finisce per proporre rotte disperate, che rendono faticoso e ansimante il cammino di questa nostra umanità”. Occorre affermare, al contrario, “la perenne novità del Vangelo di Cristo”, scrive nel suo messaggio ricordando che questi giorni saranno, “per noi, discepoli del Signore e testimoni di speranza, giorni straordinari di vigilanza orante e di operosa carità, per meglio comprendere il significato della storia della salvezza. Essere testimoni di speranza è, dunque, l’appello forte che il Signore viene a rivolgerci”. Il presule invita quindi a “denunciare con coraggio i mali delle nostre città”, “creare spazi di prossimità e di fraternità e abitarli come luoghi privilegiati di amore, di solidarietà e di accoglienza” e prenderci cura degli altri”.