Yangoon , venerdì, 24. novembre, 2017 9:00 (ACI Stampa).
La nostra esistenza è un ponte fra ciò che vorremo fare e ciò che invece facciamo. La speranza sta in questo: arrivare aldilà di quel guado dove ci attendono i nostri traguardi.
Così in quel 29 maggio 1903 a Tredda d'Adda (MI) un bambino di sei anni rischiava la vita per una malattia. Il medico condotto sentenziò che se anche fosse guarito sarebbe rimasto muto e con gravi danni. Mai diagnosi fù più falsa.
Quel bambino sarà un missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e fonderà un lebbrosario a Loilem, in Birmania.
Il suo ponte l'ha ben attraversato. Il suo nome è padre Rocco Perego. La sua vita scorre piana fino all'ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1928. Chi lo ha conosciuto, in quel tempo, di lui lascerà questa testimonianza: era molto preciso nelle regole dell'istituto e con i confratelli ma insieme era anche allegro ed ironico. Aveva un'anima intraprendete e sicura.
Con questi talenti ed in piena conformità con il suo Istituto religioso, nello stesso anno, il 19 luglio, parti missionario per la Birmania. Per i giovani missionari di quell'epoca, era un mondo nuovo, inesplorato e pieno di novità ma anche pieno di sacrifici e con molti scenari di difficile sopravvivenza. La vita dei primi missionari fu con l'unica certezza delle insicurezze date dal clima, dalla penuria di cibo e da un ambiente fatto di foreste da esplorare con tutti i rischi che ben si possono immaginare.