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La diplomazia della storia e della pietà popolare. Lo slancio ecumenico

Il Cardinale Parolin e il Premier Plenkovic | Il Cardinale Parolin incontra il premier croato Plenkovic durante la visita nella nazione, 31 ottobre 2017 | https://vlada.gov.hr/news/pm-plenkovic-meets-with-vatican-secretary-of-state-parolin/22750 Il Cardinale Parolin e il Premier Plenkovic | Il Cardinale Parolin incontra il premier croato Plenkovic durante la visita nella nazione, 31 ottobre 2017 | https://vlada.gov.hr/news/pm-plenkovic-meets-with-vatican-secretary-of-state-parolin/22750

La presenza in Croazia del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, rilancia il tema della possibile canonizzazione del Cardinale Alojzje Stepinac, contestata dal mondo ortodosso, ma anche la questione Medjuorgje. Mentre si guarda con grande attenzione al Patriarca Bartolomeo I, che di Papa Francesco è stato tra i primi partner della pace, e che ha tenuto un importante discorso alla Seconda Conferenza sul pluralismo religioso e culturale e la coesistenza pacifica in Medio Oriente.

Il Cardinale Parolin in Croazia

Si parla molto di un possibile viaggio di Papa Francesco in Croazia nel corso dell’anno prossimo, magari per canonizzare il Cardinale Alojzje Stepinac, un martire della memoria la cui iscrizione all’albo dei santi è contestata fortemente dal mondo ortodosso. Così tanto che il Papa ha stabilito una commissione mista, la quale si è incontrata più volte e alternativamente in Vaticano e Croazia fino a pubblicare un rapporto finale che di fatto lascia le posizioni come erano prima.

I rapporti tra Santa Sede e Croazia sono però fortissimi. E il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è andato a rilanciarli nel Paese, in un viaggio che si è tenuto in questa settimana per il 25esimo dei rapporti diplomatici. La Santa Sede ha infatti riconosciuto l’indipendenza della Croazia il 13 gennaio 1992, e il 29 febbraio dello stesso anno è stato nominato il primo nunzio, mentre Santa Sede e Croazia hanno stipulato quattro accordi tra il 1996 e il 1998, su questioni giuridiche, collaborazione in campo educativo e culturale, assistenza religiosa ai membri cattolici delle Forze Armate e della polizia, questioni economiche.

Parlando con i giornalisti durante il viaggio, il Cardinale Parolin ha sottolineato che la canonizzazione del beato Stepinac “è una questione interna della Chiesa cattolica”, e ciononostante il Papa ha voluto che “la questione non crei tensioni tra i due popoli, ma che aiuti nel cammino comune”, anche perché “le ferite che lasciano i fatti storici non possono essere superate all’oggi al domani”.

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Il Papa – ha detto il Cardinale – ha ora in mano il documento finale, così come ha in mano il dossier su Medjugorje stilato dalla commissione incaricata, perché la cosa è importante è “la cura pastorale dei pellegrini”, al di là del riconoscimento se gli eventi siano sovrannaturali o meno. 

L’impegno per la pace del Patriarca Bartolomeo

Il Patriarca Bartolomeo I e Papa Francesco hanno fatto dell’impegno per la pace un terreno comune. Insieme sono stati a Gerusalemme, per commemorare il cinquantesimo della storica visita di Paolo VI e l’ancora più storico incontro con Atenagora. Insieme erano nei Giardini Vaticani, quando – con Shimon Peres e Abu Mazen – si piantò un ulivo per la pace che continua a crescere nel triangolo di giardino sul lato di Casina Pio IV, sede della Pontificia Accademia delle Scienze. Insieme sono stati al Cairo, a partecipare alla conferenza internazionale per la pace voluta da al Azhar.

Lo scorso 30 ottobre, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli ha rilanciato il grido per la pace con toni simili a quelli di papa Francesco, partecipando alla seconda Conferenza sul Pluralismo religioso e culturale e la coesistenza pacifica del Medio Oriente.

Bartolomeo ha descritto la partecipazione alla conferenza come “un servizio alla pace”, ha sottolineato che “i dialoghi interreligiosi acquistano valore, significato ed efficacia solo e soltanto se riusciranno a convincere i veri credenti a fugare i loro timori, che non si tratta di perseguire un estremismo religiosi”, e ha detto che “occorre esaltare, in modi e termini convincenti, la necessità di reciproco rispetto di solidarietà, di perdono, di carità, di giustizia e pace, elementi fondamentali per una coesione sociale”.

La settimana alle Nazioni Unite

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Un evento su “Pace, Riconciliazione e giustizia: il futuro delle minoranze religiose ed etniche vittime del Daesh” è stato tenuto lo scorso 2 novembre alle Nazioni Unite, organizzato dalla Missione Permanente della Santa Sede con il comitato di ONG sulla Libertà di Religione e Credo e con la ONG “Road to Success”, con la presenza e gli interventi della sezione locale di Aiuto alla Chiesa che Soffre e di ADF International.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la sede di New York delle Nazioni Unite, ha sottolineato che non è “abbastanza sconfiggere, punire e smantellare il Daesh”, che è l’acronimo arabo per l’ISIS. L’arcivescovo ha detto che bisogna anche sradicare “il disumanizzante odio pseudo religioso, così come l’ideologia barbara che motiva il Daesh e altri gruppi terroristici”, e che questo riguarda in parte “l’affrontare le questioni sociali, politiche ed ecoomiche sfruttate dalle demagogie per reclutare e radicalizzare gli altri”, ma anche “creare le condizioni culturali perché i diritti delle religioni e delle minoranze etniche siano rispettati”.

L’arcivescovo Auza ha anche ricordato la risoluzone 2379 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottato il 21 settembre scorso, che aveva condannato “i grandi, sistematici e diffusi attacchi” contro i civili perpetuati dal Daesh.

L’evento ha visto varie testimonianze di vittime del Daesh, ma anche una discussione sulla ricostruzione del territorio distrutto, e – soprattutto – la ricostituzione della fiducia.

Altri eventi alle Nazioni Unite

L’impegno per il bando delle armi nucleari è al centro dell’agenda internazionale della Santa Sede, e il prossimo 10 e 11 novembre ci sarà in Vaticano una grande conferenza sul disarmo, con la partecipazione di 11 premi Nobel, per sottolineare ancora una volta che un mondo senza armi atomiche è un mondo più sicuro.

Il 2 novembre si è tenuto alle Nazioni Unite un dibattito sul tema “Effetti delle Radiazioni Atomiche”, che è anche parte dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La Santa Sede ha sottolineato la devastazione causata dai test per le armi nucleari e dagli incidenti nucleari, mentre ha enfatizzato i benefici degli usi pacifici dell’energia nucleare – la Santa Sede è infatti membro fondatore dell’AIEA. Per questo, la Santa Sede ha chiesto la piena implementazione del Trattato di Non Proliferazione, e maggiori standard di sicurezza che regolano gli usi pacifici dell’energia nucleare. 

Il 30 ottobre, le Nazioni Unite hanno discusso delle Operazioni di Peacekeeping. La Santa Sede ha detto che queste operazioni sono indispensabili e hanno contribuito alla risoluzione di molti conflitti armati, e ha notato l’importanza di rivedere le politiche intorno alle operazioni di peacekeeping, perché siano adeguate ad affrontare le nuove sfide. E, tra le nuove sfide, è c’è quella di una maggiore protezione dei civili, e questo può essere fatto attraverso l’impegno preventivo di controllare la produzione di armi limitandone la produzione, la vendita e la distribuzione delle armi usate per il terrorismo.

Il 31 ottobre, si è discusso di “Bambini e Conflitti Armati”, e l’arcivescovo Auza ha sottolineato che il Report del Segretario Generale del 2017 ha ben descritto come il 2016 è stato l’anno in cui più bambini sono stati colpiti da conflitti armati, e ha chiesto maggiori sforzi per salvaguardare i bambini dall’essere reclutati o rapiti. La Santa Sede ha anche chiesto ai governi coinvolti di trattare i bambini implicati in conflitti armati non solo come combattenti, ma come vittime, per favorire una loro reintegrazione.

Il 31 ottobre, il dibattito sull’agenda delle Nazioni Unite si è concentrato sul punto 70, l’“Eliminazione del Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e le intolleranze ad essa collegate”. L’arcivescovo Auza si è detto allarmato sulla crescita di atti di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia, e ha notato che il prossimo Global Compact sulla Migrazione – tema su cui la Santa Sede è molto impegnata – garantirà una opportunità senza precendenti per opporsi al razzismo e alla xenofobia contro migranti e rifugiati e proteggerne i diritti.

La Santa Sede all’Organizzazione di Stati Americani

L’arcivescovo Auza è anche Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’organizzazione di Stati Americani. In una intervista data al sito della Missione della Santa Sede all’ONU, l’arcivescovo ha spiegato il senso della missione della Santa Sede in questa organizzazione regionale, che conta 34 membri e che ha 73 Stati Osservatori.

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“L’OAS – ha spiegato l’arcivescovo Auza – è primariamente un forum politico, e guarda con attenzione ai processi democratici” del continente e li aiuta a svilupparsi, ma si occupa anche di sviluppo, sebbene “l’OAS non può essere agente primario di sviluppo.

Tra le principali funzioni dell’OAS c’è la Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani e la Corte Inter Americana dei Diritti Umani in Costa Rica, e la Santa Sede guarda con attenzione a questi organi dell’OAS. La Santa Sede interviene molto limitatamente, ma dà un discoroso al cosiddetto “Encuetro de Los Mundos,” che è conosciuto negli Stati Uniti è conosciuto come Columbus Day.