Di certo, Papa Francesco mostra, dalle risposte e dalla prefazione del libro, che per lui il momento è ora arrivato. C’è l’idea di una maturità della Chiesa latinoamericana, di un passaggio – sottolinea Reyes –dall’essere una “Chiesa riflesso” (dipendente e riflettente le proposte teologiche di altrove) ad una “Chiesa fonte”, ovvero fonte di teologia essa stessa. L’idea è del gesuita brasiliano Henrique de Lima Vaz. Ma si ritrova in tutto il libro.
Papa Francesco, nella prefazione, sottolinea che “la metà dei cattolici del mondo sono in America, inclusi gli Stati Uniti”, e questo dato numerico “impone almeno di prestar loro una speciale attenzione”. E lo sottolinea a più riprese nell’intervista.
“La Chiesa – afferma il Papa – non ha regioni di prima o seconda classe. Semmai, espressioni culturali differenti. In alcuni paesi e chiese locali sembra avere una certa coscienza di superiorità, però se uno guarda alla storia concreta, riconosce che tutte queste cose sono luci”.
E ancora: “Altri Paesi, con minore sviluppo economico, possono avere una ricchezza di cultura e di valori che hanno un diverso aspetto, e che abbelliscono il Vangelo con un volto differente. Il fatto che la loro logica sia diversa, che il suo modo di esprimere la verità sia un altro, non significa che siano cristiani di minore valore”.
Sono parole che non fanno solo capire l’idea di Papa Francesco di dare sempre maggiore peso e impatto alle realtà locali, citando i documenti delle Conferenze Episcopali nelle sue encicliche, pensando ad una maggiore devoluzione di alcuni temi alle Chiese locali, convocando spesso sinodi. Sono parole che lasciano comprendere anche la logica alla base della sua scelta di cardinali, spesso provenienti da posti sconosciuti nel mondo per abbellire la Chiesa con un punto di vista differente.
L’eredità di Aparecida
Dieci anni da Aparecida, quell’incontro di tutte le Chiese del continente latinoamericano il cui documento finale è così importante per Papa Francesco che lo ha consegnato a quasi tutti i capi di Stato incontrati all’inizio del suo pontificato. Un documento che equivale ad un Concilio, per lui, o almeno lo si deduce quando spiega che ancora non è il momento per una nuova conferenza nazionale.
Ma cosa rese Aparecida così differente? Due motivi sono particolarmente importanti, per Papa Francesco. “In primo luogo – dice – il fatto che fu la prima riunione fatta in un santuario, e per di più mariano, e per noi latinoamericani la presenza di una madre ha un forte impatto. Siamo una società con un forte accento matriarcale”.
Più avanti nel libro, il Papa spiegherà che “la donna è colei che insegna a difendere il creato”, perché è quella “che custodisce la vita, la porta dentro”. È una memoria “fisica” che ha la donna, perché ci sono “studi che confermano che, appena concepisce, alcune cellule madri del feto e della placenta passano alla circolazione della donna”, e per questo “quando la donna abortisce” resta “una memoria modulare, una specie di parte del bambino che resta dentro. Si tratta di un dato scientifico molto complesso, che ho semplificato qui.”
Il secondo motivo individuato dal Papa è il fatto che “Aparecida sia terminata con una missione continentale”, rovesciando così il principio del “tutto per il popolo, ma niente per il popolo”. “In Aparecida – dice il Papa – era tutto per il popolo, e tutto con il popolo”.
Il metodo prescelto di Aparecida è stato quello di “vedere, giudicare, attuare”, ma – racconta il Papa – “c’erano differenze intorno al vedere”, perché alcuni sottolineavano che “non c’erano sguardi asettici”, e allora si proponeva di “vedere con occhi di discepoli, come poi fu specificato nella parte introduttiva”.
La conversione pastorale e la religiosità popolare
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Papa Francesco insiste molto sull’esigenza di una conversione pastorale, sin dall’inizio del Pontificato. Ebbene, questa conversione viene proprio dalla missione continentale lanciata ad Aparecida. “Siamo a metà del cammino di conversione pastorale”, dice il Papa.
Ma questa conversione pastorale parte dall’idea di pietà popolare, e anche questa ha forti radici nell’America latina, dove “la pietà popolare non fu clericalizzata”. Papa Francesco guarda a Paolo VI, alla sua Evangelii Nuntiandi, sottolinea che il protagonista “è il popolo fedele di Dio”, e quando noi “ci avviciniamo al popolo latinoamericano con lo sguardo del buon pastore, senza giocare, ma con amore, ci rendiamo conto che questo modo culturale di esprimere la fede cristiana continua vivo tra di noi, specialmente nei nostri poveri”.
Ed è anche per questo che Paolo VI chiama “pietà popolare” quella che prima si chiamava “religiosità popolare”, e Aparecida fa un passo avanti, chiamandola “mistica popolare senza negare gli altri nomi”.
Il tema della coscienza
La conversione pastorale nasce, per Papa Francesco, da una presa di coscienza. Ed è la presa di coscienza del popolo latinoamericano. La coscienza di essere un popolo, di essere cosa diversa e non meno degna, ma di esserlo con orgoglio. “Una cosa è stata impegnarsi nell’oggi latinoamericano dopo le conferenza di Medellin, Puebla o Santo Domingo. Altra cosa è farlo dopo Aparecida”.
Ancora, è l’eredità del documento di Aparecida a dare il punto di vista del Papa sudamericano. “Andare alle periferie significa anche andare alle periferie del pensiero – sottolinea il Papa – andare a dialogare con i limiti, dar luogo al confronto (…) e non avere paura di mettersi a parlare con una persona che ha uno schema diverse delle cose”.