Sarajevo , venerdì, 5. giugno, 2015 0:45 (ACI Stampa).
Giovanni Paolo II aveva parlato di Sarajevo come una nuova Gerusalemme. Ma in realtà Sarajevo rappresenta prima di tutto un monito per l’Europa. Perché la guerra, terribile e fratricida, che la scossa all’inizio degli Anni Novanta ha rappresentato una novità assoluta nel panorama delle guerre del Paese balcanico. Una guerra di annientamento come non ce n’erano mai state. Una guerra che è il risultato diretto del pensiero debole che la pioggia acida del comunismo aveva diffuso.
Vero, il Paese non è mai stato quieto. Dal XIV secolo, quando gli Ottomani presero il controllo del Paese, la guerra è diventato una sorta di stato permanente, con alcuni intervalli. Come se non ci si potesse abituare alla pace. Ma c’era sempre un senso della dignità umana, dato dalle religioni che a Sarajevo si dividono per etnie, che faceva sì che le guerre si mantenessero su un livello normale. Guerre per creare sudditi. Non guerre per annientare l’avversario. Poi, negli Anni Novanta, il conflitto che esplode violentissimo nei Balcani, dopo l’esplosione della grande federazione yugoslava. Un conflitto nuovo, che ha appunto l’obiettivo dell’annientamento delle altre etnie.
È qui che ci ha portato il pensiero debole. Chissà se Papa Francesco rifletterà su questo, in uno dei discorsi che terrà a Sarajevo il 6 giugno. Ieri il tappeto rosso per il cerimoniale d’accoglienza veniva ripulito, la sua lunghezza provata sulla pista di atterraggio. Il lungo viale che dall’aeroporto porta verso il centro, un tempo territorio dei cecchini che sparavano a qualunque cosa che si muovesse perché “se c’è qualcosa che si muove, c’è vita e non deve vivere,” ora è decorato con le bandiere gialle e blu della Bosnia e quella del Vaticano intrecciate, mentre di quando in qua fa capolino il manifesto della visita.
Passando, Papa Francesco vedrà i cimiteri che sono sorti nei giardini della città, durante il lungo assedio. Nessuno poteva uscire, e così i morti si seppellivano dove si poteva, nei giardini pubblici dove ancora giovani donne vanno a piangere compagni o amici persi in una guerra che tutti oggi definiscono assurda. E poi ci sono gli edifici: alcuni sono lasciati così, con i buchi dei proiettili, e il tassista ci tiene a mostrarli. La guerra è un ricordo vivo, tutti l’hanno vissuta. Nessuno la vuole vivere più.
Qui lo chiamano Papa Franjo, e lo aspettano con ansia. Non solo i cattolici. Ci sono dei problemi in comune per le quattro religioni presenti a Sarajevo, cattolici, ortodossi, islamici ed ebrei. In primis, quello delle proprietà espropriate dal comunismo, e mai restituite. Ci sono trattative in corso, per tutti. Come ci sono trattative per avere i giorni religiosi festivi, e la Chiesa cattolica si è fatta promotrice di un accordo che concede cinque giorni festivi ad ogni religione.