Così, si prendono distanze dall’amore “non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l’auto-affermazione, le comodità”. E questo fa invecchiare “presto e male” perché “si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude; e quando tutto dipende dall’io, si diventa pure rigidi e cattivi, si reagisce in malo modo per nulla, come gli invitati del Vangelo, che arrivarono ad insultare e perfino ad uccidere quanti portavano l’invito, soltanto perché li scomodavano”.
È un Vangelo, dunque, che chiede “da che parte stare: se stare dalla parte di Dio o dalla parte di Dio”. Dio, infatti, “è il contrario dell’egoismo, dell’autoreferenzialità”, e infatti “non rimanda la festa” nonostante i rifiuti, continua ad invitare, “non sbatte la porta, ma include ancora di più”.
Insomma, “Dio, di fronte alle ingiustizie subite, risponde con un amore più grande”, mentre noi “quando siamo feriti da torti e rifiuti, spesso coviamo insoddisfazione e rancore”. Dio – prosegue il Papa - “mentre soffre per i nostri no, continua a rilanciare, va avanti a preparare il bene anche per chi fa il male”, perché “solo così si vince il male”.
“Oggi, questo Dio che non perde mai la speranza ci coinvolge a fare come lui, a vivere secondo l’amore vero, a superare la rassegnazione e i capricci del nostro io permaloso e pigro”, sottolinea il Papa.
Il quale conclude dall’immagine dell’abito degli invitati, perché “non basta rispondere affermativamente all’invito”, ma occorre “vestire l’abito”, vale a dire che “occorre l’abitudine a vivere l’amore ogni giorno”.
Ed è questa abitudine all’amore che viene indicata dai santi canonizzati oggi – dice Papa Francesco – che “non hanno detto sì all’amore a parole e per un po’, ma con la vita e fino alla fine”, portando “l’abito quotidiano dell’amore di Gesù”, lui “così folle che ci ha amati fino alla fine, che ha lasciato il suo perdono e la sua veste a chi lo crocifiggeva”. È quello che sta a significare la veste bianca del Battesimo, da tenere pulita “andando a ricevere senza paura il perdono del Signore”.
Ma chi sono questi santi canonizzati oggi che hanno mostrato – martiri e confessori – fino alla fine l’abitudine dell’amore di Gesù?
Prima di tutto, 30 martiri brasiliani, uccisi in odio alla fede nel 1625, in due episodi differenti che facevano seguito all’arrivo degli Olandesi, calvinista, che limitarono la libertà di culto per i cattolici e iniziarono le persecuzioni delle comunità del Rio Grande do Norte evangelizzate nel 1597. Padre André Soveral fu martirizzato il 16 luglio 1945, a Cunhau, durante la messa domenicale, massacrato dagli olandesi insieme ai fedeli. Il 3 ottobre dello stesso anno, i cattolici di Natal, insieme al loro parroco Padre Ambrosio Francisco Ferro, furono catturati dai luoghi improvvisati in cui si erano rifugiati a seguito dell’eccidio di Cunhau. Trasferiti in Uruaçu, furono torturati e seviziati da olandesi e 200 indios pieni di odio contro i cattolici. Le sevizie e mutilazioni furono tali che si poterono riconoscere solo 30 dei morti. Furono beatificati il 5 marzo 2000.
Cristoforo, Antonio e Giovanni erano tre fanciulli, considerati i protomartiri del Messico e dell’intero continente americano. Formati dai francescani che presero piede nella Nuova Espana, furono trucidati a causa della loro fede tra il 1527 e il 159. Cristoforo morì a 13 anni, Antonio e Giovanni morirono accompagnando i francescani in una spedizione missionaria nella regione di Oaxaca, dove aiutarono i missionari a distruggere gli idoli. Furono beatificati nel 1990.
Quindi, Faustino Miguez, padre Scolopio, dedicò tutta la sua vita all’educazione, e fondò poi l’Istituto Calasanzio, Figlie della Divina Pastora, con lo scopo di educare le bambine in una condizione di indigenza. Un tratto della sua spiritualità era quello di amare in particolare i più bisognosi, deboli e malati.
Infine, padre Angelo D’Acri, un cappuccino di Cosenza del XVII secolo, conosciuto come grande predicatore che fece apostolato itinerante prima di morire nella sua città natale, dove il suo corpo è custodito in un grande santuario. Padre Calloni, postulatore dei Cappuccini, spiega ad ACI Stampa che “la figura di padre Angelo ci racconta la necessità di trovare nuove vie di evangelizzazione, un nuovo linguaggio. Padre Angelo fallì anche la prima predicazione, basata su speculazioni dottrinali, e così decise di rivolgersi ai piccoli, trovando una nuova forma di linguaggio. E anche oggi, se fosse qui, cercherebbe nuovi modi di comunicare il Vangelo”. Fu beatificato da Leone XII nel 1825.
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