Yangoon , venerdì, 13. ottobre, 2017 14:00 (ACI Stampa).
Come sarà il viaggio di Papa Francesco in Myanmar? Il programma è stato appena definito, e intanto la crisi dei Rohingya ha continuato a divampare: la minoranza musulmana è stata infiltrata di radicalisti islamici, il governo ha parlato alle Nazioni Unite. Fatto sta che non si tratta della sola minoranza perseguitata in Myanmar. E che le relazioni diplomatiche che la Santa Sede ha di recente stretto con il governo di Na Pi Taw possono servire anche ad aiutare queste minoranza e tutte le altre minoranze perseguitate. Il Cardinale Charles Bo, salesiano, arcivescovo di Rangon, ha voluto questo viaggio e promosso il dialogo per l'apertura delle relazioni diplomatiche. Con ACI Stampa, fa un quadro della situazione.
Quali saranno gli incontri istituzionali di Papa Francesco in Myanmar? Chi lo consiglierà?
Il Papa ha un incontro fissato con Aung San Suu Kyi e le autorità in Nay Pyi Taw, la capitale. Spero che, durante questi incontri, si affronteranno le questioni più calde. E credo che il Papa incoraggerà a fare passi avanti positivi.
Lei ha più volte definito la democrazia in Myanamr come molto fragile. Come trovare un bilancio tra la stigmatizzazione e le critiche, e quali aiuti possono venire dal Vaticano per Aung San Suu Kyi nell’affrontare la situazione dei Rohingya?
Ancora una volta, noi come Chiesa vogliamo riaffermare l’intensità della sofferenza umana. Il problema c’è stato per gli ultimi sessanta anni, e in particolare a partire dal 1982, quando è stata approvata una ingiusta legge sulla cittadinanza. Ma c’è una nuova energia che viene lasciata libera dalla islamofobia globale. I regolamenti contro i musulmani nelle nazioni ricche sono un altro incoraggiamento per altre nazioni. L’ingiustizia in ogni parte è ingiustizia ovunque. I musulmani non soffrono solo in Myanmar. Naturalmente, gli attacchi ai Rohingya sono stati seguiti da attacchi sui militanti, e niente può giustificare cosa succede come reazione.