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Bassetti, la teologia deve "abitare in frontiera"

Il cardinale Bassetti |  | Aci Stampa Il cardinale Bassetti | | Aci Stampa

Il compito delle facoltà teologiche? Essere in frontiera con il popolo di Dio. Il Cardinale Gualtiero Bassetti presidente della CEI lo ha ripetuto ieri aprendo con una lectio magistralis a Firenze l’anno accademico della Facoltà teologica dell’Italia centrale, nel ventennale della sua costituzione.

Bassetti, come riporta l’ Osservatore Romano, parte dalle parole di Papa Francesco a Firenze: “Gesù è il nostro umanesimo” e ricorda che “nessuna chiesa locale dovrebbe accogliere l’invito alla conversione pastorale senza far tesoro della propria storia, ma Firenze e la sua Facoltà teologica hanno una responsabilità speciale: mi riferisco alle radici del novecento ecclesiale toscano”.

Il cardinale, fiorentino di nascita, ha detto che considera “un segno dei tempi la visita di Papa Francesco alla tomba di don Lorenzo Milani”. Ed ha aggiunto: “Non siamo — come dice il Papa — in un’epoca di cambiamenti, ma nel cambiamento d’epoca”.

Bassetti indica quindi nella Evangelii gaudium la strada da seguire perché “ha inaugurato una nuova fase della ricezione del concilio Vaticano II, più capace di ossigenarsi col respiro delle periferie (la cattolicità è una sinfonia teologale che permette di condividere la medesima fede, nel medesimo Cristo a partire dalla pluralità delle culture del mondo), più cosciente che la sua sottomissione alla Parola del vangelo è un continuo evento teologale e per questo non più impaurita dalla collegialità e dalla sinodalità, più consapevole del fondamento teologico e dottrinario della “medicina della misericordia””.

Basetti ha ricordato anche che “la rivoluzione che annunciando la misericordia di Dio, rimette al centro l’uomo e lo libera dalla idolatria del profitto e dei consumi che produce scarti umani, dal razzismo pratico che ci lascia indifferenti davanti alle tragedie dell’umanità perché in esse non riconosciamo la nostra stessa umanità, dalla tirannia della solitudine e della competizione perenne, dalla follia del principio per il quale tutto ciò che è tecnologicamente possibile ed economicamente profittevole è anche fattibile, a prescindere dalla dignità della vita umana e dagli equilibri ecologici. Occorre però che ci lasciamo rivoluzionare la vita da Gesù Cristo e che il suo vangelo ci spinga fuori da tutti i recinti che ci dividono dagli altri: «La rivoluzione parte da me, ma non finisce in me» diceva don Mazzolari”.

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Il ruolo delle Facoltà teologiche è avere il coraggio di «abitare le frontiere» che non  significa disertare le biblioteche ma sentire cum ecclesia: “ Questa espressione vuol dire, certamente, accogliere il magistero dei vescovi e del Papa con religiosum obsequium e fidei assensus, e questo, sia ben chiaro, anche quando non dovesse corrispondere a una propria astratta e magari severa idea di ortodossia. Ma il magistero non basta, occorre anche sentire come sente il santo e amato popolo di Dio, là dove il Vangelo è trasmesso nella vita della Chiesa. Il più grande teologo e il più grande pastore” ed ha aggiunto: “pensate a san Giovanni Paolo II e alla sua ricezione accrescitiva dell’insegnamento conciliare sul dialogo con gli ebrei e sul dialogo interreligioso, frutto di una fede vissuta a contatto diretto e drammatico con la tragedia dello sterminio degli ebrei.

La teologia scientifica non può prescindere dalla fede che il popolo di Dio vive e trasmette nei contesti reali e quotidiani dell’esistenza. Ciò è vero anche nella nostra società dove la fede che molti vivono non è più veicolata da quella religiosità popolare attraverso la quale è passata per secoli”.