Ce lo ricorda sempre Papa Francesco: la Chiesa è una Chiesa di poveri e per i poveri (che non esclude nessuno dal suo amore e preoccupazione né dalla buona novella della Salvezza). L’opzione preferenziale per i poveri non è solo uno slogan. Parliamo di persone vere, che vivono in mezzo a noi, soffrendo a causa della povertà nelle sue varie forme, inclusa quella forma viziosa di una povertà chiamata “povertà relazionale” che si è diffusa a tutti i livelli di società e che dovrebbe essere urgentemente e globalmente affrontata.
Hong Kong è scossa da un modello secolarista di vita?
Cercherà di non essere tirato in una discussione sulle differenze tra “secolare” e “secolarista” o tra “secolarismo” e “secolarizzazione”. Se per modello secolarista di vita intende il tipo di mentalità o modo di vivere per cui c’è poco o alcun posto per forme di religione di culto, sono sicuro che molte persone ad Hong Kong sono state, in un modo o nell’altro, colpite da questa mentalità. Ad ogni modo, qualche anno fa Benedetto XVI aveva anche messo in guardia da una “mentalità edonistica di tipo secolarista”, vale a dire l’idea che non c’è più alcun bisogno di pensare di Dio o di tornare a lui con il risultato che Dio resti effettivamente assente, interamente o in parte, dalla vita umana e dalla coscienza. Non posso, tuttavia, descrivere le persone di Hong Kong come persone che, in totale o in maggioranza, hanno “una mentalità secolarista ed edonistica”.
Quindi la situazione è generalmente più positiva?
Nonostante tutto, c’è una forma di mentalità secolarista da cui credo dobbiamo particolarmente guardarci. È una mentalità che escluderebbe a priori dalla pubblica piazza temi consistenti di verità o moralità solamente a causa del fatto che tali nozioni sono considerate come basate su credenze religiose (o provenienti da esse), e questo anche quando ci sono ragioni naturali in supporto di tali temi. Una mentalità secolarista che è ostile o insensibile al credo religioso può portare alla formulazione di politiche pubbliche che minano la libertà di religione e di coscienza che è uno dei valori principali protetti dalla Costituzione della Regione Speciale di Hong Kong.
Hong Kong fu colpita dal movimento “Occupy Central” nel 2014, una campagna di disobbedienza civile che criticava pesantemente la riforma elettorale nel Paese. Crede ci saranno altri movimenti come quello in vista?
Non ho la sfera di cristallo. Tuttavia, per eliminare o almeno ridurre in maniera significativa il rischio di disobbedienza civile in tutte le sue forme, ci sarebbe bisogno di conoscere a fondo e propriamente e quindi affrontare in maniera giusta le cause alla base della protesta e le sofferenza. Onestamente, spero e prego che non ci sia bisogno di nulla come Occupy Central, e che tutte le dimostrazioni e proteste, se ce ne dovranno essere, siano pacifiche e rispettose della legge. Allo stesso tempo, spero e prego che ci siano dialoghi cuore a cuore e incontri faccia a faccia con giovani a tutti i livelli, e che tutto questo sia fatto per affrontare le cause profonde dello scontento, le frustrazioni e il senso di mancanza di aiuto.
Hong Kong è parte della Chiesa di Cina, e la Santa Sede ha da tempo un dialogo in atto con il governo cinese, che si è concentrato ormai su un possibile accordo sulla nomina dei vescovi. Entrambi i suoi predecessori hanno preso posizioni forti sul tema: il Cardinale Zen era molto contrario, il Cardinale Tong era a favore di una mediazione. Quale è la sua posizione?
Non sono un diplomatico né sono parte delle negoziazioni, ma non posso che concordare con il Cardinale Pietro Parolin, il Segretario di Stato vaticano, quando questi ha detto al Sole 24 Ore lo scorso 27 luglio, anche dopo che i colloqui hanno raggiunto “uno scoglio”: “Il dialogo in sé è già un fatto positivo, che si apre verso l’incontro e aiuta a far crescere la confidenza. L’affrontiamo in uno spirito di sano realismo, sapendo bene che il destino dell’umanità è, prima di tutto, nelle mani di Dio”. Ecco, un “realismo salutare” è quello che ci vuole per guardarci da false speranze e aspettative irrealistica da una parte e la prematura chiusura delle porte verso un ulteriore dialogo nell’altro caso. Dobbiamo forse ricordarci ora ancora di quella famosa frase: “Le cose non sono sempre come sembrano”.
Come sono le cose, allora?
Quello che sta succedendo a un livello pratico di realtà è spesso più significativo di quello che è stato o non è stato raggiunto a un livello formale. Ci possono, tuttavia, essere progressi a livello informale, senza che questi si riflettano immediatamente in accordi formali. Abbiamo bisogno di discernimento e pazienza. Dobbiamo essere vigili, certo, ma dobbiamo anche fidarci del Dio della storia.
Recentemente, l’Associazione Patriottica Cinese, l’organizzazione voluta dal governo cinese per “gestire” la Chiesa cattolica, ha celebrato il suo 60esimo anniversario, senza troppe fanfare. È questa associazione ancora un ostacolo importante? Questa ferita nella Chiesa cattolica può essere guarita?
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Ha notato giustamente la mancanza di “fanfare”, ma non credo questo sia particolarmente significativo. L’Associazione Patriottica non mi sembra essere pronta a farsi da parte. Le autorità cinesi definiscono il ruolo dell’Associazione Patriottica come quello di creare un ponte tra la Chiesa e gli uffici interni di governo. È il modo in cui questo ruolo è giocato in pratica che può fare una differenza enorme. Dal momento in cui è stata stabilita nel 1957, è esistito un Congresso Nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, una organizzazione che è stata posta al di sopra della Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica in Cina. L’esistenza stessa di queste tre entità (l’Associazione Patriottica, il Congresso nazionale, la Conferenza Episcopale), la loro composizione e le relazioni che intercorrono tra loro e con la Chiesa sono presumibilmente tutte parte delle “sfide” che i negoziati incontreranno. Non sono sfide nuove. Benedetto XVI stesso ha identificato e riconosciuto queste sfide, insieme a vari altri temi nella sua lettera ai Cattolici Cinesi del 2007, che non può essere messa da parte se ci sarà ogni sostenibile “guarigione delle relazioni”.
Quale è la situazione della libertà religiosa nella Cina continentale?
È piuttosto complicata. I segnali sono spesso confusi, e la situazione varia da religione a religione, da località a località e da momento a momento. La Costituzione cinese parla della “libertà di credo di religioso” e della protezione delle “normali attività religiose”, ma quello che importa davvero è il modo in cui il governo esercita il controllo, o il modo in cui il governo si astiene dall’esercitarlo in pratica.
Quali le parole chiave per comprenderlo?
Le parole chiave sono “controllo” e “mezzi di controllo”. Sono temi cruciali, in particolare in questo momento sensibile, mentre si prepara il 19esimo congresso del Partito Comunista Cinese previsto a novembre. Non sono troppo sorpreso, perciò, che Yu Zhengsheng, uno dei 7 membri del Comitato Centrale del Politburo e presidente della Conferenza Politico consultiva del Popolo Cinese, abbia detto lo scorso luglio, secondo quanto è stato riportato, che Pechino vuole tenere “briglie strette” per assicurarsi che la Chiesa Cattolica Cinese sia tenuta fermamente nelle mani di quanti “amano la nazione e la religione”.
In Cina c’è anche la SARA, l’Amministrazione dello Stato per gli Affari religiosi. Quale è stata la sua strategia?