Rimini , mercoledì, 23. agosto, 2017 12:30 (ACI Stampa).
Dopo alcuni giorni di lunghe file, martedì 22 prima dell’apertura dei padiglioni del Meeting dell’Amicizia tra i popoli ho fatto un giro agli stand ed ho visto che già si formava coda alla mostra ‘La terra più amata da Dio. La Custodia di Terra Santa’. Mi sono avvicinato, sperando di poter entrare, ma ho trovato una bella sorpresa: padre Francesco, francescano della Custodia di Terra Santa’ stava in un angolo spiegando alle guide, come avviene ogni mattina, il significato della mostra.
Mi sono avvicinato senza disturbare ed ho origliato la spiegazione. Ha raccontato che in quei luoghi Gesù è ancora presenza viva per i cristiani del luogo, che ogni giorno possono fare memoria di quello è accaduto 2000 anni fa: “Per non perdere la memoria di quell’evento accaduto due millenni fa i cristiani del luogo potevano erigere edicole; invece hanno eretto chiese per tramandare alle generazioni successive la memoria dell’eucarestia, del suo corpo e del suo sangue. Ogni pietra ed ogni angolo sono testimonianza della sua presenza viva: in quella piazza è avvenuto un miracolo; in quella via ha guarito un malato. Ogni giorno i cristiani di Terra Santa, attraverso i luoghi, assaporano la gioia di stare con Lui, come i discepoli di Emmaus”.
Non poteva esserci occasione più propizia nella visita della mostra, proprio nel giorno in cui il meeting ha dedicato il cuore della settimana al tema: ‘Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo’, approfondito da mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme. Nella premessa dell’intervento ha definito la nostra epoca come ‘il tempo della post-verità’, in cui non c’è posto per Dio, così che l’idea di uomo e del mondo sono cambiate radicalmente. Ha individuato un cambiamento nella nostra realtà di Chiesa, in un periodo post-cristiano, perché non vi è più stata trasmissione della fede nelle famiglie.
Dopo l’analisi della situazione mons. Pizzaballa ha individuato alcuni punti in grado di risanare questo cambiamento, che vede protagonista non soltanto l’Europa, ma anche il Medio Oriente: “Il primo è di riappropriarsi della tradizione, con uno spirito cristiano. Ciò che infatti abbiamo ricevuto dai nostri padri nella fede è nulla di meno che la verità sull’uomo e la storia. Per possedere tale eredita è necessario che essa sia compresa e poi comunicata attraverso un linguaggio nuovo”. Richiamando i riferimenti biblici che emergono dalle parole del titolo del Meeting (‘voi conoscete la Bibbia, vero?’ ha stimolato scherzosamente il pubblico), l’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Terra Santa ha sottolineato una parola fondamentale, che rischia di rimanere oscurata: ‘tu’: “Un ‘tu’ che per essere un buon erede deve innanzi tutto divenire adulto nella fede e nella vita sociale”. Ebbene sì, l’eredità non può prescindere dalla memoria: “legato al concetto di eredità c’è quello di memoria, cioè ti devi ricordare che ciò che hai lo possiedi in quanto l’hai ricevuto in dono, e come apprendiamo dall’Esodo, se dimentichi l’eredità la perderai”.
La parola ‘eredità’ nel linguaggio biblico non è soltanto un passaggio giuridico, bensì ha il valore di un dono stabile, che non può essere perso e di cui il Signore è il solo proprietario: “Eredità, nel linguaggio biblico, è innanzitutto la terra: è uno dei nomi più antichi che Israele dà alla piccola terra in cui vive, che ha ricevuto in eredità da Dio. In ebraico eredità si dice ‘nahalah’ e sta ad indicare qualcosa in più rispetto al semplice passaggio giuridico di un bene all’erede, così come lo intendiamo noi; dice piuttosto la stabilità, la continuità del possesso ricevuto, dice che quel bene non può essere alienato, rimane necessariamente in famiglia”. Per entrare in contatto con l’eredità il primo passo è la memoria: “Per questo, perché Israele possa ricordare, Dio “inventa” il rito. Il rito della Pasqua ebraica, infatti, ancora oggi si richiama proprio all’esperienza dell’uscita dall’Egitto.