Amatrice , giovedì, 24. agosto, 2017 10:00 (ACI Stampa).
Si chiama ‘Oltre il sisma’ ed è il progetto che sta portando il giovane fotografo fanese Matthias Canapini (1992) a camminare sui Monti Sibillini, nei borghi martoriati dal terremoto, tra le comunità dei crateri e nei piccoli paesi ai margini delle zone rosse per documentare “l’umanità ferita dal sisma di agosto ed ottobre, per raccontare che dietro i numeri, le macerie, le cravatte e i bei discorsi c’è Stefano, ci sono Federica, Bruno, Alice e il piccolo Ernesto”. Il fotografo ha iniziato il 24 agosto 2016 ‘il viaggio speciale che mi sta riportando a casa’: “Al terzo giorno ho smesso di fotografare macerie e ho iniziato a raccontare storie, lentamente, immortalando stralci di una umanità resistente e solidale: i piccoli gesti di postini, allevatori, studenti, turisti, operai. Una processione religiosa sull’altopiano di Forca Canapine o il saluto della buonanotte tra Erziana e Assunta, donne sfollate nel borgo di Bolognola”.
Matthias Canapini si occupa di reportage foto giornalistici muovendosi come freelance appoggiandosi a ONG nazionali ed internazionali. Ha viaggiato nei Balcani, Turchia, Caucaso, Est Europa e Siria, documentando tematiche diverse tra loro come le adozioni a Pristina, le proteste in Bulgaria, le mine antiuomo in Bosnia e Armenia o i ragazzi di strada a Bucarest. Durante gli ultimi viaggi è entrato due volte in Siria per documentare le condizioni di alcuni campi sfollati siti a qualche chilometro dal confine. Colpito dalle sue fotografie viste in facebook l’ho contattato e gli ho chiesto di raccontare come è nato il progetto ‘Oltre il sisma’: “Il 24 agosto, giorno della scossa ad Amatrice, mi trovavo in Lucania per raccogliere testimonianze sul mondo rurale del Sud Italia. Appena giunta la notizia, io ed un paio di amici abbiamo deciso di partire immediatamente per le zone del cratere. Da quel momento, legandomi profondamente alle persone incontrate, ho deciso di tornare nelle aree colpite ogni due settimane, per seguire gli sviluppi e il destino degli sfollati, raccogliere le testimonianze di operai, casalinghe, allevatori, studenti, turisti e raccontare con taccuino e macchina fotografica l’umanità resistente di Arquata, Pescara sul Tronto, Acquasanta Terme ... poi le scosse di ottobre, un nuovo epicentro, la rete solidale sempre più attiva. Il progetto è cominciato cosi, innamorandomi lentamente di tutta quell’umanità più forte del dramma. Viaggio in quei territori prevalentemente a piedi o in autostop, zaino in spalla. Per tre anni sono andato alla ricerca di guerre (passate e presenti) nel mondo, dalla Siria al Vietnam, ma tornando alle radici ho inteso che a volte ci sono guerre silenziose che si combattono senza l’ausilio di armi, né con cannoni né con eserciti in campo. Drammi che si consumano sotto casa, passo dopo passo, come un tarlo che scava nel legno cavilloso. Credo che un terremoto ha inizio nel momento in cui finisce”.
Quale sentimento si prova viaggiando nei paesi distrutti dal terremoto?
“Viaggiando solo tra boschi, borghi vuoti e distrutti, pascoli cotti dal sole e sentieri di montagna, non si può far altro che scavarsi dentro. I sentimenti sono molteplici, da una parte sbigottimento, rabbia, delusione, tristezza, ma anche speranza, ironia, fede, felicità incontenibile. Ti rendi conto che nell’essere umano è insita un’attitudine incredibile e resiliente chiamata resistenza. Una resistenza umana che torna comunità, impregnandosi dell’antico rito della condivisione. Un’umanità forte, superiore ai drammi del nostro tempo. L’ho vista in tanti altri angoli di mondo, ma tornando alle radici, scopri forse che non c’è cosa più bella di raccontare e viaggiare tra la propria gente. Un reportage simile l’ho realizzato in Nepal a sei mesi esatti dal violento terremoto del 25 aprile 2015. Sembra ora di rivivere il tutto in presa diretta”.
Come è riuscito a raccontare il terremoto?