Una sezione in particolare esplora il rapporto della schiavitù con alcuni aspetti del culto ufficiale romano, per poi soffermarsi sugli effetti dell’affermazione del Cristianesimo in età costantiniana. Di oggetti in verità ce ne sono pochi su questo tema, ma certo è l’occasione per ricordare che proprio tra gli schiavi il cristianesimo ebbe subito una grande diffusione.
La liberazione predicata da Cristo è quella dal peccato, l'eguaglianza tra gli uomini è destinata per i cristiani a realizzarsi nel Regno di Dio, che il primo cristianesimo attendeva come prossimo. Di qui le sollecitazioni rivolte agli schiavi da Pietro Apostolo: “Servi, siate con ogni timore sottomessi ai vostri padroni, non solo ai buoni e giusti, ma anche agli ingiusti “ (I Pietro 2, 18) e da Paolo di Tarso: “Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione!” (Corinzi I,7,20-24).
Per leggere nei testi cristiani una critica radicale della schiavitù bisogna attendere la seconda metà del IV secolo, quando il cristianesimo diviene religione di stato (380 d.C.). I primi pensatori cristiani non calarono mai il principio di eguaglianza tra gli uomini dal piano trascendente a quello sociale, seguendo in questo l’esempio degli stoici, che l’avevano lasciato in seno al diritto naturale, lontano dall’applicazione del diritto civile.
Il compromesso cristiano con una società ancora strutturalmente patriarcale e schiavista si rivela in modo eloquente proprio quando la chiesa primitiva cerca di regolamentare l’ammissione di schiavi nella comunità dei fedeli: gli aspiranti di status servile debbono essere ammessi alla catechesi solo con il consenso espresso dei loro padroni (Traditio Apost. 15, 3-5) e comunque, una volta ammessi in seno alla chiesa, non potranno accedere al sacerdozio se prima non vengono liberati (Costituzioni Apost. 8.47), né potranno abbracciare la vita monastica contro la volontà del padrone (Concilio di Calcedonia, 451d.C.).
Archeologi, scenografi, registi e architetti hanno lavorato alla mostra per rendere “viva” la complessità del mondo degli schiavi nell’antica Roma a partire dall’ultima grande rivolta guidata da Spartaco tra il 73 e il 71 a.C, il gladiatore che fu protagonista della celebre ribellione. Spartaco Raccolse intorno a sé una moltitudine di schiavi, ma anche di poveri e di disperati, che trasformò in un vero esercito, tenendo testa per ben tre anni all’esercito romano. Fu sconfitto e cadde combattendo in armi e il suo corpo non fu mai trovato, ma 6000 dei suoi compagni di ribellione furono crocefissi sulla via Appia, lungo tutta la strada tra Roma e Capua.
La mostra, in undici sessioni, raccoglie 250 reperti archeologici affiancati da una selezione di 10 fotografie. Non solo schiavitù antica però. Una sezione della mostra è curata dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro, Agenzia Specializzata delle Nazioni Unite nei temi del lavoro e della politica sociale, impegnata nell’eliminazione del lavoro forzato e altre forme di schiavitù legate al mondo del lavoro.
Le foto infatti di Lewis Hine, Philip Jones Griffith, Patrick Zachmann, Gordon Parks, Fulvio Roiter, Francesco Cocco, Peter Magubane, Mark Peterson, Selvaprakash Lakshmanan – sono forti denunce visive, realizzate da maestri della fotografia di documentazione, che in tempi recenti hanno voluto osservare con il proprio sguardo e la propria macchina fotografica alcune forme di schiavismo dell’epoca post-industriale e contemporanea. Ancora oggi, infatti, sono circa 21 milioni gli esseri umani che, secondo stime ufficiali, possono essere definiti vittime delle nuove schiavitù come ricorda spesso Papa Francesco.
L’esposizione è ideata da Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini e per lappata fotografica da Alessandra Mauro. Il Catalogo è di De Luca Editore.
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