Le 13 Chiese di Gerusalemme avevano anche sottolineato che “ogni minaccia alla continuità dello Status quo può portare a conseguenze gravi e imprevedibili”, e avevano mostrato apprezzamento per il modo in cui la custodia dei Luoghi Santi era esercitata dal Regno Hashemita di Giordania.
L’interevento della Santa Sede all’ONU
Il 26 luglio, il giorno dopo l’incontro tra l’arcivescovo Gallagher e l’ambasciatore Kassissieh, la Santa Sede ha preso la parola ad un dibattito promosso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione in Medio Oriente e sulla questione palestinese.
Oltre a presentare una ampia analisi su tutte le situazioni in Medio Oriente, l’intervento della Santa Sede, letto da monsignor Simon Kassas, incaricato d’affari della Missione vaticana all’ONU, ha ribadito il sostegno alla “soluzione dei due Stati”, vale a dire di un nuovo assetto geopolitico con Stato di Israele e Stato palestinese uno di fianco all’altro all’interno di confini riconosciuti a livello internazionale.
La Santa Sede ha sottolineato che per raggiungere lo scopo ci vuole una “soluzione negoziata reciprocamente” con “trattative dirette tra israeliani e palestinesi, con il sostegno della comunità internazionale”, mentre sia Israele che Palestina devono compiere “passi rilevanti per ridurre tensioni e violenze”, astenendosi da azioni “inclusi gli insediamenti, che possano contraddire l’impegno ad una soluzione negoziata”.
Al di là del riferimento preciso alla questione degli insediamenti, c’è anche sullo sfondo la questione della Spianata delle Moschee. Il governo israeliano aveva deciso di limitare l’accesso alla Spianata delle moschee esclusivamente alle persone con più di cinquanta anni di età. A seguito di quella decisione, due poliziotti israeliani sono rimasti uccisi nelle proteste, ed è da lì cominciata una situazione tesa con un bilancio di cinque vittime palestinesi nelle proteste e tre vittime israeliane accoltellate a Neve Tsuf, nei pressi di Ramallah.
Da notare che il giorno dopo l’intervento della Santa Sede alle Nazioni Unite – in cui veniva anche ricordato l’impegno di Papa Francesco per il dialogo in Medio Oriente, con le visite di Shimon Peres e la preghiera per la pace nei Giardini Vaticani – il governo di Israele aveva rimosso i metal detector sulla Spianata delle Moschee e abolito tutte le limitazioni.
L’appoggio allo “status quo” a Gerusalemme
L’intervento della Santa Sede si concentrava anche sulla questione di Gerusalemme, e sosteneva ancora una volta lo “status quo”. La Santa Sede – aveva detto monsignor Kassas – “conferma la sua posizione in linea con la comunità internazionale e rinnova il proprio sostegno per una soluzione completa, giusta e duratura relativamente alla questione della città di Gerusalemme”.
La richiesta è quella di “uno status speciale per Gerusalemme, che sia garantito a livello internazionale al fine di assicurare libertà di religione e di coscienza”, e di garantire l’accesso sicuro e libero ai luoghi sacri ai fedeli di tutte le religioni e nazionalità”.
Che cosa è lo Status quo?
Ma che cosa è lo status quo? Si riferisce alla gestione dei Luoghi Sacri in Terrasanta, con particolare riferimento alla gestione dei santuari della Basilica del Santo Sepolcro, della Basilica della Natività a Betlemme e della tomba della Vergine Maria e Gerusalemme.
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La vita di questi santuari è inseparabile dalla situazione politica della Terrasanta, situazione che ha portato lentamente allo status quo odierno. Durante il 17esimo e 18esimo secolo, infatti, la Chiesa Greco Ortodossa e le Chiese cattolica sono sempre stati in lotta per la gestione di una serie di santuari, e in particolare per quelli del Santo Sepolcro, della Tomba di Maria e della grotta della natività”.
Al termine di questo periodo, si è arrivati alla situazione esistente, con una dichiarazione ufficiale del 1852, che determina i soggetti proprietari dei luoghi santi e dei luoghi all’interno dei santuari, estende tempi e durate delle funzioni, dei movimenti e dei percorsi all’interno dei santuari, in un regolamento che coinvolge le comunità Cattoliche o di rito latino, Greche, Armene, Copte e Siriache.
Quale la posizione della Santa Sede?
A livello diplomatico, la Santa Sede riconosce “l’eccezionale importanza che l’eredità culturale della Città Vecchia di Gerusalemme, o più particolarmente i Luoghi Sacri, ha in virtù del suo valore artistico, storico religioso”, secondo le parole dell’UNESCO.
La Santa Sede si riferisce da una parte alla “sovranità territoriale”, per cui si dichiara non competente: solo Israeliani e Palestinesi potranno decidere se la città sarà capitale di uno o di due Stati. Allo stesso tempo, la Santa Sede appoggia la posizione della comunità internazionale sulla situazione de facto che si è creata dopo il 1967, e che dichiara la “basic law” israeliana su Gerusalemme “nulla e invalida”.
Dall’altra parte, c’è la questione religiosa. Gerusalemme è considerata unica e sacra per Ebrei Cristiani e Musulmani, e la Santa Sede è sempre intervenuta allo scopo di preservare i Luoghi Santi, in modo che nessuna delle parti possa reclamarli per se stessa. Per questo la Santa Sede chiede uno “status” speciale per la città, con garanzia di assicurare libertà di religione e di coscienza per tutti, uguaglianza davanti alla legge delle tre religioni monoteistiche e delle loro istituzioni e fedeli, libertà di accesso e di esercizio del culto nei Santuari e, appunto, la difesa dello Status Quo.