Bregenz , mercoledì, 2. agosto, 2017 14:00 (ACI Stampa).
“ Io sono arrivato al seminario di Frisinga il 3 gennaio del 1946 e anche Leo Scheffczyk si trovava lì come profugo di guerra. Riesco ancora a vederlo, in modo molto chiaro, davanti a me, come un uomo silenzioso e per così dire molto sensibile”. Questa foto d’epoca viene dalla penna di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI che nel 2007, dieci anni fa, si fece intervistare per la introduzione alla edizione italiana del libro del teologo e cardinale tedesco Leo Scheffczyk “ Il mondo della fede cattolica, verità e forma”.
Il libro era stato pubblicato nel 1977 ed è uno dei moltissimi titoli del grande teologo dell’epoca del Concilio Vaticano II, di centinaia di pubblicazioni, che vanno dalla dogmatica alla mariologia e che sono sempre “ al centro”. Scheffczyk non prese mai una parte nel dibattito post conciliare che voleva dividere il pensiero teologico in destra e sinistra.
La sua forza era nella storia stessa della sua vita. Nato in Slesia in un paese che oggi è polacco, ma che nel 1920 era tedesco, Leo cresce in un ambiente cattolico borghese. Nel 1938 inizia gli studi per diventare sacerdote. É un grande lettore e ama Tommaso e Newman. Nella crisi post conciliare prende in esame tre correnti teologiche: l’antropocentrismo cristiano, il secolarismo delle scienze naturali e quello storicistico.
Non è questa la sede per un saggio sulla teologia di Scheffczyk, ma piuttosto per capire come nutriva la sua spiritualità. Lo si capisce anche vedendo il suo stemma cardinalizio. Il Sacro Cuore e la corona di spine. Ma non una qualsiasi. Quella che è simbolo della Famiglia Spirituale l’Opera.
Scheffczyk si è nutrito della spiritualità di Madre Giulia Verhaeghe, la fondatrice della famiglia religiosa. Tanto che scelse di essere sepolto in un luogo simbolo della Famiglia: il monastero di Talbach a Bregenz in Austria.