Napoli , martedì, 25. luglio, 2017 16:00 (ACI Stampa).
Ispirata alla quarta opera di misericordia corporale, sul sito della diocesi di Napoli è stata pubblicata, in anteprima, la lettera pastorale ‘Accogliere i pellegrini’ del card. Crescenzio Sepe, che sarà distribuita ai fedeli in occasione della celebrazione eucaristica che darà inizio all’anno pastorale il 14 settembre nella cattedrale della città.
Nell’esordio il card. Sepe richiama alla memoria ‘la preziosa eredità della tenerezza spirituale’ del Giubileo della Misericordia: “Nel linguaggio di papa Francesco abbiamo avuto la percezione viva che Dio ci ama in modo incondizionato, ci accoglie per come siamo, ci tiene tra le sue braccia, ci mette in piedi dopo ogni caduta, ci consente di camminare con fiducia incontro al nostro avvenire. Con una tale gioiosa consapevolezza nel cuore siamo spinti a guardarci intorno con occhi nuovi, a proseguire con maggiore fiducia il nostro cammino, a puntare su una nuova tappa del nostro progetto pastorale”.
E, dopo le iniziative sviluppate intorno al tema dello scorso anno ‘Vestire gli ignudi’, il vescovo di Napoli propone ai fedeli la quarta opera di misericordia, che è molto drammaticamente attuale e richiama ognuno alle proprie responsabilità: “Tale opera tocca una delle fibre più profonde della nostra umanità, presente in ogni cultura, praticata da tutti i popoli. Nel cristianesimo, poi, rappresenta un’indicazione centrale, avvertita come una specifica modalità del discepolo di Gesù che, nell’ospite, accoglie il suo stesso Maestro”.
Infatti nell’antichità in tutte le religioni il pellegrino rappresentava un ‘qualcosa di sacro’. Per quanto riguarda la tradizione biblica nell’Antico Testamento il pellegrino era una benedizione, perchè lo stesso popolo ebreo aveva vissuto la migrazione, come era scritto nel libro del Levitico: “E la condizione di forestiero non termina con l’entrata nella Terra Promessa, ma dura per sempre”. Anche il Nuovo Testamento presenta Gesù come pellegrino, addirittura migrante in Egitto: “Alla fine dei tempi, quale Signore della storia, userà il criterio di valore proprio dell’ospitalità: ‘Venite, benedetti del Padre mio… perché ero forestiero e mi avete ospitato’”.
Ricordando l’ospitalità delle famiglie a chi era migrante di alcuni decenni fa, il card. Sepe sottolinea che l’identificazione dello straniero non costituiva un problema: “Quando lo si accoglieva in casa, non gli veniva chiesto né il nome né la provenienza. Era sufficiente trovarsi di fronte a un forestiero in difficoltà per far scattare il dovere dell’ospitalità, la volontà dell’accoglienza. In realtà, alla base di tale costume c’era la consapevolezza che migrante è ogni uomo, pellegrino dell’Eterno”.