Il lavoro di lobby per l’eutanasia è molto forte in Belgio. Non si può più parlare della visione cristiana della sofferenza: nella cultura secolarizzata del Belgio soffrire è male e si deve mettere da parte. Questa è la mentalità e molte persone la stanno seguendo. Ci sono persino cattolici che lo dicono. E lo vedo anche nella reazioni che riceviamo dalle persone.
Cosa fare allora?
Dobbiamo essere realistici: l’educazione si può fare solo se si hanno buoni educatori. Molti educatori sono figli dei loro tempi. Sappiamo quale è la posizione del gruppo sull'eutanasia. Ma sappiamo che la maggioranza dei belgi direbbe che l'eutanasia non è possibile, ma che si può permettere perché è un lavoro di misericordia.
Ma chi sono i Fratelli della Carità?
Si tratta di una Congregazione fondata nel 1807, a Gand, in Belgio, in un periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Francese. Il fondatore Pierre-Joseph Triest, un sacerdote che era molto coinvolto nell’opera di ricostruzione delle strutture. Cominciò con l’affidare un ospizio per anziani ad una casa religiosa, che fondò, per salvarlo dalla chiusura. La missione originale della congregazione era la cura dei poveri, ed era basata sulla visione di San Vincenzo de’ Paoli.
Quali erano gli scopi iniziali della Congregazione?
C’erano tre campi di attività principali: la cura dei poveri, degli anziani, e dei pazienti psichiatrici. Siamo pionieri nel campo della psichiatria. C’è una chiara visione della carità, ma anche un forte senso di professionalità. C’è da chiarire che non siamo operatori sociali. Piuttosto, attraverso l’attività sociale aiutiamo le persone a vedere il modo in cui Dio brilla nella loro vita, anche quando vivono degli handicap.
E però non siete sacerdoti…
No, perché padre Triest pensava ad un nuovo gruppo, ad un nuovo tipo di vita religiosa. L’idea è di combinare la forma originale di vita religiosa, ovvero la vita contemplativa dei monaci, con il lavoro della carità. E fu chiaro che non erano sacerdoti, ma fratelli, a potersi meglio occupare professionalmente dei poveri.
Come si è sviluppata la Congregazione?
La prima missione fuori dal Belgio è stata in Canada, nel 1865. Siamo stati chiamati a prenderci cura dei bambini di una prigione. Quindi siamo stati negli Stati Uniti e in Olanda. Poi, abbiamo cominciato il lavoro in Africa, a partire dal Congo, antica colonia belga, e quindi si è chiesta la nostra opera anche in Asia, a partire dall’Indonesia. Per essere concreti, oggi siamo in 30 nazioni. La Congregazione sta crescendo più in Africa e in Asia, e non in Europa e in America.
Questa mancanza di crescita nel Nord del mondo viene anche forse dal fatto che lo Stato si è cominciato ad occupare dei malati psichiatrici?
È bello che la società si stia prendendo cura e responsabilità dei malati mentali e dell’educazione. Noi abbiamo cominciato a lavorarci quando nessuno lo faceva. E non credo che questa rinnovata attenzione tocchi la nostra mancanza di vocazioni.
Quale è il problema allora?
La secolarizzazione è molto dura, specialmente in Belgio. Sono in molti a svolgere questa attività “sociale”, e il nostro primo scopo, che è sempre stato vivere la vita religiosa e vivere nella luce del Vangelo, è stato messo un po’ da parte.
E quando ci sono state più vocazioni?
Ci sono stati enormi gruppi di novizi dal Belgio tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli Anni Sessanta. Oggi, in Belgio, non ci sono più vocazioni.
Ma perché?
Come ho detto, c’è una secolarizzazione molto aggressiva. Abbiamo piccoli gruppi.
Quali le differenze del lavoro nel Nord e nel Sud del mondo?
Nel Sud, c’è la questione di guidare i giovani a vivere in modo da poter seguire il loro carisma nel modo giusto, e significa formazione. Nel Sud ci mettono più energia, ma c’è anche bisogno di strutture. Ad esempio, abbiamo un ospedale psichiatrico a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, e lo abbiamo stabilito su richiesta della Chiesa locale. Un altro ospedale psichiatrico è stato aperto a Yamossoukro. Noi cerchiamo di restaurare la dignità umana, e di dare a tutti la convinzione che sono figli di Dio.
E al Nord?
La storia è completamente differente. Ci siamo diffusi 200 anni fa, dobbiamo mantenere queste strutture. Non ci focalizziamo solo nella cura fisica, ma in quella alistica. Le nostre “policies” devono essere in linea con la Chiesa.
In tutto ciò, la Chiesa sta fallendo?
Potremmo dire di sì perché non sa dare una risposta precisa all’evoluzione della società. Ma la Chiesa è dei fedeli, e i fedeli sono quelli che stanno formando la Chiesa. Vedo tutto quello che sta succedendo in linea con la Genesi, con la prima domanda del primo racconto sulla creazione.
Ma è più facile evangelizzare a Nord o a Sud?
Nel Sud è molto facile, perché lì le persone hanno ancora quella fede naturale per Dio. Dio è perso qui nel Nord. Il processo di erosione cominciato con l’Illuminismo, e in Africa non c’è Illuminismo, c’è ancora la chiara credenza che Dio è presente nella società. L’Illuminismo è un processo molto lungo, sono sicuro che stia ancora andando avanti. Con l’Illuminismo Dio si è ritirato. È questo il punto cui ci vuole portare la secolarizzazione.
Il vostro motto è “Deus Caritas Est”, Dio è carità. È diventato poi il titolo di una enciclica di Benedetto XVI. Quanto vi ha colpito?
È stato il riconoscimento del nostro lavoro. Quando ho incontrato Benedetto XVI, che conosce molto bene il nostro lavoro. Lo stesso Benedetto XVI mi ha detto: io l’ho scritto, ma voi lo mettete in pratica.