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Galliani: raccontare ai giovani Dio con Ligabue

Un momento della discussione della tesi  |  | Lorenzo Galliani
Un momento della discussione della tesi | Lorenzo Galliani
Un momento della discussione della tesi  |  | Lorenzo Galliani
Un momento della discussione della tesi | Lorenzo Galliani

‘Hai un momento, Dio? Il rock di Luciano Ligabue in dialogo con il Cielo’ è il titolo della tesi, ‘cum laude’, di Scienze religiose discussa da Lorenzo Galliani, collaboratore di Avvenire e del settimanale diocesano Verona Fedele, alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna. Il relatore del neo dottore è stato il direttore dell’Istituto di San Michele in Bosco, Marco Tibaldi: “Nessuno si è scandalizzato anzi, ho ricevuto molti consensi”.

La tesi è un viaggio dentro l’intera produzione discografica di Ligabue, analizzando i brani che trattano del cielo e del divino, da ‘Il cielo è vuoto il cielo è pieno’ a ‘Tu che conosci il cielo’ fino a ‘Urlando contro il cielo’ e ‘Piccola stella senza cielo’. Incuriosito dall’originale tesi ed apprezzatolo nei precedenti lavori letterari, gli ho chiesto di spiegarci l’ispirazione del titolo della tesi su Ligabue: “Grazie a una supplenza di religione in una scuola media del Bolognese, due anni fa. Lì un ragazzo di terza, quello che giocava a fare il ribelle del gruppo, mi disse che era un fan di Ligabue. Era il suo modo per andare controcorrente, visto che i suoi compagni ascoltavano musica dance, techno o giù di lì. Faceva tanto il rivoluzionario, ma alla fine in quanto a musica la pensava esattamente come me.

Così la settimana successiva in classe parlai di messaggi positivi (e ce ne sono tanti) trasmessi dalle canzoni di Ligabue: se il mio alunno avesse voluto fare il contestatore della lezione, avrebbe dovuto criticare il suo (e mio) mito. Non lo fece. Anzi, mi sembrò persino attento, ma magari stava dormendo e non me ne sono accorto, però intanto il tentativo lo feci. Ad ogni modo, quando tempo dopo, al termine del triennio all’Istituto Superiore di Scienze Religiose, ho dovuto pensare a una tema per la tesina, non ho fatto troppa fatica. D’altra parte la cosiddetta ‘Teologia pop’, che indaga le radici del senso religioso nei fenomeni della cultura di vasto consumo (musica, cinema, telefilm) non l’ho inventata io. A chi mi chiede se i miei professori di teologia non si siano scandalizzati per una tesina su un cantante rock, rispondo che uno di loro ha scritto un libro sui Simpson...”.

‘Tu che conosci il cielo, saluta Dio per me/ E digli che sto bene, considerando che/ che non conosco il cielo, però conosco te/ Mi va di ringraziare, puoi farlo tu per me?’: secondo Ligabue Dio ha un momento?

“La domanda non ha una risposta. O almeno, nelle canzoni non la trovo. C’è quel desiderio di un Dio vicino, e non è poca cosa. In ‘Il cielo è vuoto o il cielo è pieno’ Ligabue ammette: ‘Certi giorni non mi basta ciò che vedo, sento e tocco’. E nella più famosa ‘Hai un momento, Dio?’ non si limita a chiedersi se Dio ci sia o no, ma esprime – un po’ per gioco e un po’ no – il bisogno di avere a che fare con un Dio ‘a misura d’uomo’, con il quale scambiare quattro chiacchiere. Un amico. ‘Uno di noi’, per citare una canzone di Eugenio Finardi sullo stesso tema che ribalta un po’ la prospettiva: Dio lo tiriamo in ballo solo per riversargli addosso le nostre richieste, ma chi di noi lo chiama ‘solo per dire: come stai?’. Ligabue immagina anche un Paradiso a misura d’uomo, in ‘Chissà se in cielo passano gli Who’, dove l’immagine dell’eterno riposo – che oggi, ammettiamolo, non fa molta presa – è sostituita da quella più allegra di una grande discoteca. Una grande festa”.

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Oh, mama, mama, che cosa ho fatto? Son scivolato ancora dentro un letto. Ma, mama, mama, che devo dire? O era amore o somigliava bene’. In alcune canzoni, quale ‘Libera nos a malo’ è polemico con la Chiesa: quale è il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa?

“In ‘Libera nos a malo’, sul tema della sessualità, il protagonista si chiede: ‘Però il mio male qual è?’. E’ una presa distanza – netta, sincera e direi comune a tantissime persone – da parte di chi sente nella Chiesa un’istituzione che condanna e ti dice cosa non devi fare, iniettando nei fedeli un potente senso di colpa. E’ un dato polemico ma credo anche molto stimolante. Andare nelle periferie non vuol dire essere accomodanti a tutti i costi, ma aprirsi a un dialogo vero, senza dribblare nessuna domanda che può generare imbarazzo, senza chiudersi nella formula: è così perché è così”.

Ma Ligabue ti ha detto qualcosa di questa tesi?

“Non ho ricevuto commenti. Però è stato per me un onore poter ricevere via mail, tramite il suo ufficio stampa, le risposte ad alcune domande che gli avevo inviato. Presentare in Facoltà un elaborato su Ligabue con un suo contributo è stato molto gratificante. Un regalo che non meritavo ma che ho preso volentieri (e ci mancherebbe altro)”.

In pratica quale linguaggio usare con i giovani per raccontare Dio?

“La musica può aiutare, lo dico da (scarso) strimpellatore di chitarra. Ma non credo esistano ricette preconfezionate: dipende dalla nostra sensibilità e soprattutto da quelle dei ragazzi che si hanno davanti. La storia del salvezza, e il modo in cui Dio si rivela nella nostre vite, è però talmente appassionante che il peccato più grande credo sia quello di essere noiosi. Può succedere, per carità, e a me è accaduto diverse volte. Ma in quel caso non si può dare la colpa ai ragazzi e cavarsela con un ‘ai miei tempi si ascoltava di più...’. Sembrano le scuse di quegli allenatori di calcio che, dopo aver perso una partita per 5 a 0, si lamentano dell’arbitraggio o del terreno scivoloso”.

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