Città del Vaticano , giovedì, 1. giugno, 2017 16:00 (ACI Stampa).
“La novità di quanto viene offerto dal magistero di Papa Francesco, è soprattutto nello sguardo con cui egli si rivolge verso la realtà a partire dal Vangelo. Il Papa non vuole inventare una nuova dottrina, ma invita costantemente a quell’atteggiamento di conversione al Vangelo per cogliere il senso della realtà in modo diverso, per come essa è veramente. Una conferma a quanto appena asserito la troviamo nei suoi discorsi e nei suoi scritti: dalle omelie quotidiane ai pronunciamenti magisteriali. La conversione di sguardo è un gesto che viene richiesto, personalmente ed ecclesialmente, a tutto il popolo di Dio”. Sono parole del Cardinale Arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, contenute nella sua relazione alla plenaria della Congregazione per il Clero.
Il Cardinale Betori affronta un tema specifico: “il pastore che riconcilia in Papa Francesco”. “Si può ormai essere d’accordo, senza darlo per scontato, che - ha spiegato Betori - la parola-chiave di questo Pontificato è misericordia. Eppure, se ci si pensa bene, essa, con tutta la profondità che afferma e racchiude, pur non essendo una novità, ogni volta chiede di essere riscoperta nuova. La riconciliazione è un volto della misericordia e, pur avendo una sua peculiarità, è un concretum della seconda” e il Papa ci ricorda che “bisogna misericordiare per essere misericordiati. Una cosa è certa: fino a quando non si è fatta esperienza concreta di questa misericordia nel proprio stato di miseria, non si può misericordiare gli altri. Quando si è fatta questa esperienza, allora sì si è chiamati a celebrare la misericordia: essa, infatti, non soltanto va evocata, spiega Papa Francesco, ma anche ricevuta e vissuta . Il pastore che riconcilia afferma una grande verità di cui bisogna sempre tenere conto: non è l’uomo il soggetto della riconciliazione, ma Dio: è Dio che riconcilia l’uomo con Sé”.
Il Cardinale Betori ricorda poi l’importanza del Sacramento della Riconciliazione, un sacramento trinitario “che genera un dinamismo interumano, all’interno del quale ogni peccatore può inserirsi nel momento in cui chiede riconciliazione. In questo senso, il pastore che riconcilia significa che in Cristo, attraverso il dono del Suo Spirito, l’uomo ferito dal peccato può entrare nel dinamismo trinitario senza censurare alcunché della propria umanità. Da quanto asserito, la sacramentalità della Chiesa, in riferimento al ministero peculiare della riconciliazione, trova il suo fondamentale riferimento in Cristo e, per Lui, nella vita di Dio”.
E in questo contesto si incardina la figura del sacerdote. “Il passaggio - spiega Betori - che va dal Pastore che riconcilia – che è Cristo stesso – ai pastori che riconciliano, non si fonda su una semplice imitazione della vita divina da parte dei credenti, ma sulla partecipazione a tale vita che avviene nella Chiesa, quale luogo in cui l’azione riconciliante dello Spirito raggiunge il cuore dell’uomo attraverso la concretezza di un cuore anch’esso perdonato, quello del ministro. Illuminare la Chiesa come luogo d’incontro e d’unità tra Dio e l’umanità, e degli uomini tra loro, è un modo concreto per affermare che il soggetto agente della riconciliazione è Cristo e, in Lui e nello Spirito, Dio/Abbà. Per questo, afferma il Papa in Misericordiae Vultus: Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono”.
Il Pastore che riconcilia, prosegue l’Arcivescovo di Firenze, deve “saper includere” e ciò “nasce da una duplice consapevolezza: prima di tutto quella di aver fatto esperienza di esser stato incluso, con tutto il proprio essere, anche di peccato, nella vita di Dio; in secondo luogo la consapevolezza che la propria realizzazione passa attraverso l’uscita da sé per farsi prossimo: si è riconciliati per riconciliare”.