“Alla fine c’è un desiderio buono nelle persone, ti tocca in qualche modo”.
La visita al Gaslini di Papa Francesco, come quella anche di Benedetto XVI nel 2008 e Giovanni Paolo II nel 1985, è una tappa d’obbligo per i Pontefici in visita a Genova.
“Mi sembra che Papa Francesco abbia proprio detto bene qual è il nostro lavoro. Io, se dovessi raccontare cos’è il mio lavoro in un reparto così difficile, dove la morte è presente ogni giorno ed incombe anche in chi ha superato la malattia, direi che quello che possiamo fare noi è veramente accompagnare le famiglie, essere lì, e fare un pezzo di strada insieme. E questo è un grandissimo mistero, non c’è un momento che non sia misterioso e a volte sembra come una giustizia particolare, qualcuno viene colpito qualcun altro no. É difficile da capire. E il Papa ha messo bene in luce quello che piace anche a me del mio lavoro, la tenerezza, inchinarsi e accompagnare, in modo discreto, con un abbraccio sulla spalla, una caramella, piccoli gesti”.
E c’è un lavoro da fare anche con i genitori?
E sì, perché certo i bambini, ma le mamme hanno un peso grosso, sono eroi nel dolore davvero! Penso che noi possiamo stare cristianamente vicino a queste persone. Arrivano da tutta Italia e da tutta Europa, specialmente dall’ Est. Anche da fuori Europa. Alcuni di loro vanno solo accompagnati, e se vengono accolti con una volto amico cambia per loro.
Una città molto laica Genova, che però è stata trasformata in questo sabato di maggio?
C’è stato tanto fermento, perché la gente fa un po’ fatica a venire fuori. Quando vedo della facce di gente che lavora al Gaslini, che non immaginavo, mi domando come mai non riusciamo a guardarci in faccia e dirci le cose. Poi magari scopri che quella persona che è particolarmente gentile, che ha un bel modo, la incontri a cantare nel coro della messa del Papa. E oggi ho visto anche delle persone che non mi aspettavo. E mi è piaciuta tanto la esperienza del coro. Da tutte le parrocchie e i movimenti anche fuori Genova, tutti serissimi nel seguire le prove, con il nostro maestro con tanta pazienza, perché alla fine mugugnavamo, ma poi oggi c’è stato qualcosa che è andato oltre i nostri temperamenti.
E adesso? Dopo l’esperienza della visita e tutto il resto che succede?
Per me certo non posso andare a lavorare senza avere in mente le parole che il Papa ha detto, che leggono il mio lavoro e come lo vorrei fare io. E poi penso che racconterò molto alle mie colleghe. Tutte mi dicevano: vai dal Papa? Ti sei dovuto registrare ? E erano interdette, poi è arrivata una dottoressa che mi ha detto: anche io vado dal Papa. E ci siamo lasciate con un: ci vediamo là!
Allora poterlo raccontare, perché mi sembra che stare così tutti insieme sia un po’ una cosa dell’altro mondo. Siamo insieme tutte queste ore insieme a pregare...è bellissimo. Mi ha colpito tanto silenzio.
E anche i più giovani sono entusiasti, il figlio quindicenne di Elisabetta dice: “Non immaginavo come sarebbe stato. Quando ho visto la immensità, tante sedie tante persone sono stato contento perché eravamo una specie di compagnia, tutti insieme, e poi la fatica l’ho affrontata perché sapevo che facevamo una cosa bella tutti insieme”. E poi la sorellina di 10 anni ricorda in particolare una parola che ha detto il Papa: “ Eroe.. Un eroe è uno che aiuta”.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.